Il treno dei bambini e le madri che hanno fatto l’Italia

21.10.2024
Il treno dei bambini e le madri che hanno fatto l'Italia
Il treno dei bambini e le madri che hanno fatto l'Italia

Ci sono film e serie che sembrano arrivare nel posto giusto al momento giusto. Non si sa come questo possa accadere: c’entra il caso, ovviamente, accompagnato anche da una certa lungimiranza da parte dei produttori e dei distributori. La ricetta del successo non ce l’ha nessuno, altrimenti non si spiegherebbero certi buchi nell’acqua importanti al netto di altrettanti importanti investimenti produttivi. Eppure a volte la magia accade.

È il caso de Il treno dei bambini, il nuovo film di Cristina Comencini in arrivo su Netflix il prossimo 4 dicembre. Tratto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone – un caso editoriale italiano tradotto in più di trenta lingue – è la storia di un evento storico molto poco conosciuto oggigiorno, ovvero dei così detti “treni della felicità” organizzati dal Partito Comunista Italiano per aiutare le famiglie indigenti del sud Italia dopo la seconda guerra mondiale. Grazie al contributo di militanti e famiglie volontarie, bambine e bambine delle zone più povere del sud, venivano accolti in varie città del nord anche solo per breve periodo di tempo dove, chi ne aveva la possibilità, provvedeva al loro sostentamento. Molti di loro non avevano di che coprirsi, erano malnutriti e malati, spesso avevano perso fratelli, sorelle, nonne e genitori durante il conflitto e vivevano in povertà assoluta. Molti di quei bambini tornavano a casa dalle loro famiglie ma molti altri, invece, sceglievano di rimanere presso le famiglie affidatarie spinti, forse, dalla possibilità di una vita migliore. 

Il treno dei bambini è ambientato nell’immediato dopoguerra a Napoli. Antonietta (Serena Rossi) ha da poco perso un figlio a causa di una grave malattia contratta durante la guerra. Il padre dei suoi figli è partito per l’America e lei è rimasta sola a occuparsi di Amerigo (Christian Cervone), l’unico figlio che le è rimasto. Amerigo è un bambino molto vivace che non ne vuole sapere di andare a scuola e si arrabatta con piccoli espedienti e furtarelli; provata dalla stanchezza e dalla povertà, Antonietta decide di rivolgersi a Maddalena (Antonia Truppo), una militante del PCI incaricata di organizzare i treni dei bambini per chiederle di mandare suo figlio per un periodo al nord ed è così che il bambino parte insieme a tante amiche e amici dei quartieri verso l’Emilia Romagna anche con la speranza di tornare tutti più forti e in salute.

Arrivati a destinazione, Amerigo viene separato dai compagni a cui era stata destinata già una sistemazione. Rimasto anche lui solo come lo era stata sua madre durante la guerra, a Maddalena che lo aveva accompagnato non resta che implorare Dorna (Barbara Ronchi) di prenderlo in affido. Ex partigiana e sindacalista, Dorna all’inizio è reticente all’idea di occuparsi di Amerigo ma anche grazie all’aiuto del fratello, riesce a creare la famiglia amorevole e accogliente che fino a quel momento Amerigo non aveva mai avuto.

Prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Palomar, Il treno dei bambini segna anche il ritorno dietro la macchina da presa per Cristina Comencini. La regista firma anche la sceneggiatura insieme a Camille Dugay, Furio Andreotti e Giulia Calenda, questi ultimi recentemente premiati col David di Donatello per la miglior sceneggiatura di C’è ancora domani. Le musiche del film sono firmate da un nome d’eccezione: il premio Oscar Nicola Piovani. Da parte di Netflix c’è stato dunque un importante sforzo produttivo confermato dalle parole di Tinny Andreatta, Vice Presidente per i contenuti italiani di Netflix, che ha confermato il ruolo centrale che la trasposizione cinematografica di libri di successo ricopre nella strategia italiana e globale della piattaforma. 

Andreatta ha anche sottolineato l’importanza di voler portare sugli schermi una storia fatta di impegno civile, solidarietà e accoglienza. Una storia, come ha anche sottolineato  la stessa Comencini, che si interroga anche sulla maternità e sul suo significato reale, intrinseco. Antonietta e Dorna – i personaggi interpretati da Rossi e Ronchi, entrambe in stato di grazia – sono due mamme “imperfette” secondo il canone che vuole le madri abnegate al loro ruolo di accudimenti, amorevoli e performanti anche nelle più atroci difficoltà; il modello della madre “angelicata” prodotto dalla cultura patriarcale e sposato dalla società del profitto, ha richiesto per secoli alle donne di aderire a un ideale di perfezione e dunque irrealizzabile, condannando nella maggior parte dei casi loro stesse, i propri compagni e i loro figli a uno stato di infelicità permanente. 

Il treno dei bambini racconta che ogni donna fa del proprio meglio, che non sempre ci riesce e che è comprensibile non farcela. Dove non arriva il singolo deve però intervenire la comunità – lo Stato, la politica, i vicini, la scuola – perché crescere un figlio non è un atto individuale, ma una responsabilità collettiva.

Il film è anche una storia di accoglienza e solidarietà in un paese profondamente lacerato e disunito in cui spesso era difficile comunicare perché non esisteva ancora una lingua comune. Ma nonostante il razzismo, la diffidenza e le reciproche differenze, l’utopia di un senso di comunità condiviso da qualche parte era realtà. 

Guardando il film viene quasi da chiedersi se sia tutto inventato, se lo stesso paese che organizza respingimenti e costruisce campi di detenzione in Albania, sia lo stesso che ottant’anni fa era capace di mettere in piedi un sistema di soccorso e accoglienza e che si preoccupasse davvero dei bambini e delle bambine offrendo loro riparo, cibo e istruzione. Viene anche da chiedersi perché vedremo Il treno dei bambini su Netflix e non sul servizio pubblico ma la risposta al perché questo non accada è drammaticamente fin troppo evidente. 

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