La scuola della pace dove ucraini e russi cancellano la guerra

27.05.2024
La scuola della pace dove ucraini e russi cancellano la guerra
La scuola della pace dove ucraini e russi cancellano la guerra

A Duino si formano studenti dei Collegi del Mondo Unito candidati al Nobel. Anche palestinesi e israeliani vivono e dialogano nelle stesse aule

«Permettere ai giovani di tutto il mondo di incontrarsi, vivere insieme e studiare insieme è una delle cose più importanti che possiamo fare per la pace e un mondo migliore». Con questa motivazione Alfred Bjørlo, rappresentante parlamentare del Partito Liberale norvegese, ha candidato il movimento dei Collegi del Mondo Unito (UWC) al Premio Nobel per la Pace 2024. Fondato nel 1962, in piena guerra fredda dall’educatore tedesco Kurt Hahn: 18 scuole sparse per i quattro continenti. Dalla casa madre in Galles, Atlantic College, agli Stati Uniti, UWC USA, dove ha studiato anche Giulio Regeni, a Singapore, passando per il Costarica, Mostar in Bosnia, Changshu in Cina, Arusha in Tanzania.

I Paesi coinvolti sono 155 con i loro comitati nazionali che raccolgono fondi e selezionano gli studenti. Presidente è la regina Noor di Giordania. Prima la carica è stata ricoperta da Nelson Mandela e Carlo III d’Inghilterra quando non era ancora re. Una comunità di quattromila ragazze e ragazzi tra i 17 e i 19 anni, attualmente iscritti, oltre sessantamila ex allievi che dopo il diploma non si sono più lasciati e costituiscono una rete di relazioni sociali, culturali ed economiche.

Il collegio italiano è diffuso. Nel senso che si divide in tutto il paese di Duino, provincia di Trieste, sopra le falesie della riserva naturale che guarda dall’altra parte del golfo il promontorio industriale di Monfalcone. Aule, dormitori, teatro, spazi comuni, sale musica e laboratori all’avanguardia. Il mondo in un villaggio. Quest’anno i diplomati, attraverso l’international baccalaureate, sono stati 84, provenienti da più di ottanta Paesi. Paesi in guerra o addirittura in conflitto tra loro. Ucraini e russi, palestinesi e israeliani, libanesi, afghani, pakistani, iraniani, siriani. Nelle stesse aule, negli stessi dormitori, nella stessa mensa sono passati la principessa d’Olanda Ariane e ragazzi arrivati dai luoghi più poveri del pianeta grazie a un programma di borse di studio che consente di aiutare quasi il 90 per cento degli studenti. Tra i sottoscrittori, molti ex allievi che dalle periferie più dure e disagiate sono arrivati attraverso i college UWC ai vertici di società finanziarie globali o ad amministrare piattaforme digitali oggi molto in voga. Il bando per il prossimo anno è già aperto e si chiuderà a ottobre. Tra i progetti più importanti: il bando per i minori non accompagnati che vengono seguiti durante tutto il corso di studi da tutor nella loro lingua madre.

Un mondo, a differenza di quanto avviene nelle università italiane e americane, disposto al dialogo. Un mondo pensato a far rigermogliare e diffondere quel sentimento antico e tra i più nobili che il fondatore Hahn aveva messo come cardine del percorso pedagogico: la compassione. Il college, oltre a insegnare materie tradizionali e strategiche per il futuro dei ragazzi preparandoli al ruolo di leader, allena (e così coglie il senso più profondo ed etimologico della parola compassione) soprattutto a condividere le difficoltà altrui.

Una volta lasciato alle spalle il Castello del quattordicesimo secolo, che ai tempi dei romani era un avamposto per fare la guerra, si entra nel cuore del collegio dove si impara a fare la pace. «Quest’anno è stato più difficile del solito» ammette l’ambasciatrice Cristina Ravaglia, presidente del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico. Il 7 ottobre ha inaridito il dialogo. Il buio della ragione ha coperto il cielo sopra la Striscia di Gaza. «Il dialogo si è interrotto, ma alla fine anche i ragazzi e le ragazze israeliane hanno partecipato alla raccolta fondi per aiutare la famiglia di una studentessa palestinese di Gaza».

Banan, che per settimane non ha saputo più nulla di sua mamma e suo papà in fuga dai bombardamenti, non se la sente di unirsi a un gruppo di compagni per parlare di pace e di guerra in questo momento. «Tra noi ci confrontiamo, ma non sono ancora pronta per affrontare una discussione pubblica». Durante la recita di Natale attraverso l’espediente letterario e il ruolo di uno studente nei panni di uno stregone, la fiamma del dialogo, impostato sul significato della fiducia reciproca, è stata riaccesa.

Al tavolone della sala colloqui, dove ci accompagna Gregorio, diciottenne torinese arrivato qui perché «stufo del metodo del liceo italiano cercavo uno sguardo nuovo sul mondo» e ora uno dei grandi animatori e sponsor del modello UWC, sono seduti una decina di ragazzi. «Solo i nomi di battesimo» si raccomanda Valentina Bach, ex allieva ora Segretario Generale e, come avviene nei Collegi del Mondo Unito, impegnata con passione anche in tante altre mansioni, assunte per puro spirito di corpo ovviamente. «Accompagno gli studenti al centro di accoglienza migranti di Trieste a insegnare loro l’italiano». Sono i disperati del maledetto silos, miserabile e incivile rifugio dei fuggiaschi della rotta balcanica che non sanno più dove andare o aspettano le forze e il momento giusto per fuggire da un’altra parte.

Solo nomi nessun cognome, dunque. Perché c’è Maksim, russo di 18 anni. Non può più tornare a casa, andrebbe subito al fronte. Sta seduto a fianco di Anastasia, ucraina. Anastasia spiazza: «Ora la pace è impossibile, è una strada troppo tortuosa». «La pace è una parola grandiosa. Ho sentito dire da un’economista che la cosa migliore o almeno la cosa minima che possiamo fare se non puoi fare nient’altro è parlarne. Penso però che, almeno parlandone e sensibilizzando le persone, la pace non sia qualcosa di impossibile».

Secondo Shaha irachena appena maggiorenne «il modo migliore per ottenere la pace nel mondo intero è attraverso l’istruzione scolastica e l’educazione. Se non possiamo educare le generazioni più anziane, forse possiamo educare le nuove generazioni», le risponde Baseerat, scappata dal Kashmir, «Studiare era l’unica mia alternativa di fuga». La pace impossibile? Ma come? Anche i giovani? «Qui non insegniamo la pace in teoria, ma attraverso azioni concrete quotidiane» spiega il rettore del collegio Khalid El-Metaal che dopo aver insegnato e gestito solo scuole esclusive, ma non inclusive dal Canada all’Egitto, ha deciso di abbracciare la filosofia di UWC. Insomma, non lo slogan “peace and love” in voga negli anni Settanta che vuol dire tutto ma anche niente. «Di questi tempi – è la strategia di El Metaal – mantenere la speranza è essenziale. Questo luogo è stato creato come un’icona di pace. Un’icona è qualcosa a cui guardi per trovare speranza, quindi l’idea è che tutti gli studenti di diverse nazionalità si sforzino di capirsi a vicenda per abolire l’idea di nemico. Dobbiamo divulgare l’ispirazione a fare la pace in modo che anche altre persone siano determinate a fare lo stesso. L’Italia e il Mediterraneo sono sempre stati e sono di nuovo crocevia di questo confronto tra realtà che devono essere necessariamente cosmopoliti. In questo senso andare contro l’immigrazione, come fanno i partiti, soprattutto conservatori, in Italia e in Europa mi sembra andar contro la nostra storia e l’evolversi della realtà. Il cosmopolitismo è sempre stato una risorsa. E qui a Duino lo dimostriamo tutti i giorni».

Haya, libanese di 17 anni: «Molti di noi si siedono insieme e cercano di capire prospettive diverse. Facciamo piccole discussioni e facciamo domande su ciò che accade, cercando di capire. E viceversa, cercando di far capire agli altri cosa avviene nel nostro Paese. Penso che essere qui sia un’opportunità per imparare gli uni dagli altri. Qui a Duino abbiamo un’occasione unica perché, tornando a casa, non puoi parlare di certi argomenti che sono ancora tabù». Sapere, conoscere, sviluppare la capacità critica attraverso la libera circolazione delle idee e delle notizie anche e soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, è l’obiettivo di Maksim: «Perché in Russia da anni vince solo la propaganda. Molti miei amici non sanno nulla. E non sanno nulla da talmente tanto tempo che sono disinteressati alle motivazioni di questa guerra. Sono solo interessati ad avere un lavoro. Punto e basta. Chi affronta certi argomenti finisce in carcere. Quindi è meglio non sapere nulla. Questo è il ragionamento in Russia. Abbiamo visto cosa è successo con gli ucraini nel 2014, hanno fatto una rivoluzione e hanno rischiato le loro vite per un cambiamento e noi non abbiamo fatto nulla. Alla fine, vogliamo vivere in pace e abbiamo bisogno di trovare un compromesso. Ma molte persone nel governo sono egoiste e cercano solo di beneficiare loro stesse senza pensare al bene comune». «È vero – le risponde Anastasia, studentessa ucraina arrivata a Duino due anni fa, poco prima dell’invasione – non puoi parlare con molti russi perché non sanno nulla, non hanno internet. Con Maksim invece sì. Anche noi ucraini siamo vittime in un certo senso della propaganda, ma abbiamo la possibilità di consultare la rete. E questo cambia tutto. Possiamo farci un’idea nostra, libera. L’ostacolo principale è che non c’è rispetto per gli altri. La comprensione reciproca è la chiave della pace. Perché quando capisco che Maksim non è così diverso da me, devo rispettarlo così come rispetto me stessa».

«Conoscere entrambi i lati della storia – si inserisce Lenny, diciottenne israeliana – è fondamentale per fare qualche passo verso la pace. Le opinioni dei miei genitori sono molto diverse. Io, i miei fratelli e le mie sorelle siamo andati in diverse parti del mondo per studiare. Le nostre opinioni restano radicate da anni e anni di chiusura ma ora abbiamo la possibilità di un’altra prospettiva».

Una prospettiva diversa che lascia sperare in un futuro migliore. «Qui si sente una libertà che a casa non sento» è una battuta di Mattia, protagonista del film Duino, premiato all’ultimo festival di Torino Lovers. È la storia autobiografica del regista Juan Pablo Di Pace, nomen omen, che racconta, con stile e potenza narrativa, come proprio da studente al Collegio del Mondo Unito di Duino ha conosciuto la sua libertà sessuale e ha trovato la via per condividere la sua omosessualità con i genitori argentini. «Perché qui – ci dice Gregorio congedandoci – non studiamo solo e parliamo di argomenti alti e universali. A Duino si costruiscono amori a volte passeggeri a volte per sempre. E ci divertiamo tanto grazie alle attività collaterali: lo sci, la vela, la manutenzione del bosco, la pulizia della spiaggia, l’aiuto agli anziani del paese». Venire a Duino merita davvero.

Lascia un commento

Your email address will not be published.