La Corte di giustizia europea, chiamata in causa sul “caso Diarra”, ha dichiarato che le norme della Fifa in materia di trasferimenti internazionali di calciatori professionisti sono contrarie al diritto dell’Unione
Adistanza di poco meno di trent’anni dalla sentenza Bosman che sancì la libera circolazione nell’Unione Europea dei giocatori professionisti in scadenza di contratto, il sistema calcio potrebbe essere adesso oggetto da una nuova rivoluzione. La Corte di giustizia europea ha infatti dichiarato che alcune delle norme della Fifa in materia di trasferimenti internazionali di calciatori risulterebbero contrarie al diritto dell’Unione Europea, ostacolandone la libertà di circolazione e restringendo inoltre la concorrenza tra i club.
Il caso Diarra
Se nel 1995 era stato il caso sollevato dal belga Jean Marc Bosman a generare la sentenza che poi prese il suo nome, ora è il francese Lassana Diarra – ritiratosi nel 2019 – a diventare il simbolo di una nuova perestrojka sportiva tale da modificare irreversibilmente il mercato del calcio continentale.
I fatti risalgono al 2014, ai tempi della sua militanza nella Lokomotiv Mosca. Alcuni dissidi tra il giocatore e il club russo portarono a una risoluzione del contratto dopo appena un anno dalla firma di un quadriennale per una disputa legata al suo stipendio: “tagliato” per scarso rendimento secondo il francese, decurtato secondo la dirigenza per inadempienze di Diarra. Dura la presa di posizione della società moscovita, che pretese – sulla base delle regole vigenti – ed ottenne dalla camera di risoluzione delle controversie della Fifa una multa di 10,5 milioni di euro.
Tra reciproche accuse e azioni legali intraprese dai legali dell’ex Real, Chelsea, Psg ed Arsenal, a saltare fu il trasferimento del francese allo Charleroi. La società belga, temendo possibili strascichi regolamentari e finanziari, non chiuse l’accordo. Operazione peraltro che era stata subordinata alla certezza di poter tesserare il giocatore senza sobbarcarsi l’onere del pagamento della sanzione inflitta al centrocampista.
Operazione peraltro che avrebbe avuto come condizione “sine qua non” il nullaosta della Lokomotiv, non firmato dal club russo non avendo ricevuto dal calciatore quanto stabilito dalla Fifa in camera di conciliazione.
Gli sviluppi
Diarra, nel dicembre del 2015, decise così di intentare una seconda azione legale, contro la Fifa e contro la Lega calcistica belga, lamentando una perdita di guadagni. Ed ottenendo un primo “gol” due anni dopo, con il tribunale commerciale di Charleroi che riconobbe al francese la legittimità delle sue richieste, stabilendo come l’articolo 17 comma 2 della Fifa violasse il diritto comunitario e condannando ad un risarcimento la Fifa con il relativo ricorso della Federazione Internazionale alla Corte di Giustizia europea. Il parere della Corte, in sostanza, verte così su due principi imprescindibili nel diritto comunitario, legati alla libera circolazione delle persone e alla salvaguardia della concorrenza dei mercati interni. Per la prima, il “no” della Fifa sarebbe estremamente vincolante, mentre sulla seconda peserebbe il “macigno” economico – nella circostanza specifica – che si sarebbe dovuto accollare lo Charleroi per svincolare il giocatore da un accordo precedente limitandone così la sua capacità di negoziare.
La posizione della Corte
La posizione della Corte Ue sui due aspetti sopracitati, in questo senso, è chiara. Tali norme risultano contrarie al diritto dell’Unione. “Da un lato – si legge – sono tali da ostacolare la libera circolazione dei calciatori professionisti che vogliano far evolvere la loro attività andando a lavorare per un nuovo club, stabilito nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione. Infatti, fanno gravare su tali giocatori, e sui club che intendano ingaggiarli, rischi giuridici rilevanti, rischi finanziari imprevedibili e potenzialmente molto elevati nonché significativi rischi sportivi, che, considerati nel complesso, sono tali da ostacolare il trasferimento internazionale di questi giocatori. Anche se è vero che restrizioni alla libera circolazione dei giocatori professionisti possono essere giustificate dall’obiettivo di interesse generale consistente nel garantire la regolarità delle competizioni di calcio tra club, mantenendo un certo grado di stabilità nell’organico dei club di calcio professionistici, tuttavia, nel caso di specie, le norme di cui trattasi, fatta salva la verifica da parte della cour d’appel de Mons, sembrano spingersi, sotto molti aspetti, oltre quanto necessario per il perseguimento di tale obiettivo”.
Per quanto riguarda, dall’altro lato, il diritto della concorrenza, la Corte dichiara che “le norme controverse hanno lo scopo di restringere, se non addirittura di impedire, la concorrenza transfrontaliera che potrebbero farsi tutti i club di calcio professionistici stabiliti nell’Unione ingaggiando unilateralmente giocatori contrattualmente legati ad un altro club o giocatori il cui contratto sia stato asseritamente risolto senza giusta causa. A tal riguardo, la Corte ricorda che la possibilità di farsi concorrenza reclutando giocatori già formati svolge un ruolo essenziale nel settore del calcio professionistico e che le norme che restringono in modo generalizzato tale forma di concorrenza, cristallizzando la ripartizione dei lavoratori tra i datori di lavoro e compartimentando i mercati, sono assimilabili ad un accordo di non sollecitazione. Peraltro, la Corte rileva che, fatta salva la verifica da parte della cour d’appel de Mons, tali norme non sembrano essere indispensabili o necessarie”.
Le conseguenze
Il parere della Corte di giustizia Ue, richiesto dalla Corte d’Appelo di Mons, in Belgio, a cui ora ripasserà la palla, seppur non vincolante, apre una crepa notevole sulla struttura edificata dal calcio attuale. Nel quale le società si troverebbero nella pericolosa posizione di poter perdere un calciatore regolarmente tesserato senza poter monetizzare la sua partenza, né mediante una trattativa con un club interessato né in maniera coatta vedendosi corrispondere però la clausola rescissoria presente sul contratto. L’effetto domino che ne scaturirebbe potrebbe essere clamoroso: dal peso degli agenti e dei giocatori stessi nelle contrattazioni, alla forza d’urto delle realtà continentali più importanti che potrebbero convincere l’atleta a “svincolarsi”, fino alla salvaguardia dei sodalizi che nel lavoro di “costruzione e vendita” dei campioni in erba hanno poggiato una parte imprescindibile del bilancio annuale. E che ora vedrebbero la quadratura dei conti essere decisamente a repentaglio
Una sentenza penalizzante nei confronti della Fifa, stringendo, permetterebbe così ad un tesserato di potersene andare senza la cosiddetta “giusta causa”, senza oneri economici da parte del suo nuovo club da corrispondere al vecchio. Lecito credere però che, in una circostanza del genere, si possa trovare una sintesi permettendo di correggere eventuali anomalie e potenziali “storture”. I riflettori ora si riaccendono in Belgio, dove potrebbe essere scritta una pagina che tecnicamente assumerebbe per il calcio i connotati una nuova rivoluzione. Che sarà anche “qualcosa che nasce dal presente che dubita di se stesso”, ma rischia di cambiare completamente il futuro di questo sport.