Un aumento anomalo dei decessi tra Veronese, Vicentino e Padovano, è stato rilevato da un recente studio pubblicato su rivista scientifica Environmental Health. L’area è una zona rossa nota per la contaminazione da derivati del fluoro. “Ora serve il bando ai Pfas e una maggiore sorveglianza sulla popolazione esposta”
Tra Veronese, Vicentino e Padovano c’è una zona rossa qui l’acqua in superficie e nelle falde è contaminata dai derivati del fluoro noti come Pfas. Un dato noto dal 2013, ma ora è stato pubblicato uno studio che documenta come nelle stesse aree si registri un aumento dei decessi: quasi quattromila morti in più rispetto a quanto si attenderebbe. Il dato – purtroppo in parte atteso – è contenuto in uno studio condotto da una rete di scienziati e ricercatori che fa riferimento all’Università di Padova, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica statunitense Environmental health.
Tra i peggiori disastri ambientali al mondo
La ricerca dell’ateneo patavino mette in luce l’impatto devastante della contaminazione da sostanze “per-fluoroalchiliche e poli-fluoroalchiliche”, i temutissimi Pfas. Una contaminazione in parte attribuita a una industria chimica oggi fallita e contestualmente finita sui banchi degli imputati nell’ambito di un processo penale che sta facendo scalpore in tutta Europa che ascrive la vicenda veneta tra i più gravi casi di inquinamento al mondo nel suo genere.
La contaminazione delle acque infatti interessa trenta comuni della cosiddetta area rossa: nelle province di Vicenza, Padova e Verona i Pfas sono stati rilevatiin concentrazioni preoccupanti nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, dove vivono circa 100.000 persone. Ma come si vede dall’immagine qui sotto ripresa dallo studio, l’area rossa non è esaustiva della contaminazione.
La ricerca è stata condotta dal professore Annibale Biggeri assieme al suo team dell’Università di Padova, in collaborazione con il Registro tumori dell’Emilia-Romagna, il Servizio statistico dell’Istituto superiore di sanità Iss, nonché con il contributo della unità per l’approfondimento scientifico civico e partecipativo: si tratta della “citizen science initiative” della rete ecologista veneta ‘Mamme No Pfas’.
4mila morti in più tra il 1985 e il 2018
Il lavoro degli esperti ha evidenziato un significativo aumento della mortalità “per tutte le cause nella popolazione dell’area contaminata”. Per l’esattezza, dal 1985 al 2018 si è registrato un eccesso di oltre 3800 morti, rispetto al valore atteso: ossia una morte in più ogni tre giorni. Come se in questi trentaquattro anni fosse scomparsa la popolazione totale di due Comuni dell’area rossa. L’elevato aumento di decessi rispetto alla esiguità del perimetro territoriale preso in considerazione preoccupa chi vive anche nei Comuni limitrofi.
In particolare, per la prima volta, è stata dimostrata “un’associazione causale” tra l’esposizione ai Pfas “e un rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari”. Tramite l’analisi delle diverse classi d’età, lo studio ha evidenziato un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età. La popolazione più giovane, esposta ai Pfas già durante l’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto.
Sorprendentemente, si è anche osservato un effetto protettivo nelle donne in età fertile. Questo fenomeno potrebbe essere attribuito al trasferimento, già ampiamente documentato in letteratura scientifica, dei Pfas dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento, nonché alla conseguente diminuzione di livelli di Pfas nelle madri.
Ora si attende un avvio di uno studio di massa deliberato dalla Regione del Veneto già nel 2016, ma mai iniziato.
Fonte: Today