L’attrice: «I tempi sono cambiati, nell’industria del cinema le dirigenti stanno facendo la differenza»
Per tenere testa al mito di se stessa Meryl Streep ha scelto, da tempo, la tecnica dell’understatement. Alle ovazioni estasiate che la accolgono al Festival di Cannes, risponde con l’aria sorniona di chi vorrebbe far credere che tutto quel successo, tutto quell’amore, tutta quella bravura, siano arrivati quasi per caso, nella vita di una signora da sempre molto assorbita dagli impegni familiari: «Non ho creato una casa di produzione, anche se ammiro tanto le mie colleghe che lo hanno fatto, in realtà mi sono limitata a produrre bambini, la mia famiglia mi ha sempre preso molto tempo. Continuo a dipendere dalle offerte che mi arrivano, non scelgo, preferisco fare scoperte per caso e questo mi piace molto».
Ha lavorato con i grandi del cinema, qual è la dote fondamentale di un regista?
«Deve essere sicuro di se, sapere esattamente che cosa vuole dire e comunicare fiducia alla troupe. Un regista è davvero grande se riesce a far capire a tutti quanto sia importante raccontare quella determinata storia e quanto questo possa rendere felice sia lui sia tutti quelli che ha intorno».
Quale consiglio darebbe a un aspirante attore?
«Gli direi che se il primo tentativo non funziona, bisogna andare avanti, tenere fermo l’obiettivo. Non mollare, non mollare, non mollare. Lo dico in particolare alle donne».
Quali sono i risultati più significativi dei movimenti femminili di questi ultimi anni?
«E’ aumentato il numero di ruoli interessanti per le donne, sono successe cose importanti, non solo a Hollywood, ma dovunque, nell’industria e nel commercio. Ci sono state delle piccole correzioni nei comportamenti, dei miglioramenti, c’è più timore nel compiere abusi perché si sa che, ora, verrebbero denunciati. Insomma dei progressi ci sono stati, oggi le più grandi star del mondo sono donne, forse con l’eccezione di Tom Cruise».
Da che cosa è derivata la scarsezza di personaggi attraenti da affidare alle attrici?
«E’ un problema di sguardo. I film sono proiezioni dei sogni di chi li fa, e per i maschi, produttori o registi che siano, è ancora molto difficile riuscire a proiettarsi in quelli delle donne. E’ più forte di loro. Quando giravo Il cacciatore sentivo di comprendere benissimo lo stato d’animo dei protagonisti, Robert De Niro e Christopher Walken, ma per i maschi non è così, non riescono a ritrovarsi nelle protagoniste donne. La prima volta che un uomo mi ha detto “So come ti sei sentita” è stato per Il diavolo veste Prada».
Alcune, fra le sue tante prove, hanno segnato tappe dell’evoluzione sociale come la madre di “Kramer contro Kramer”. Perché?
«Quel film raccontava un divorzio, l’autore lo aveva concepito come una storia di vendetta, era interessato soprattutto alle preoccupazioni del padre, interpretato da Dustin Hoffman. Ma eravamo negli anni del femminismo, e questa prospettiva non soddisfaceva tutti, così io e Dustin decidemmo di dividerci e scrivere ognuno la propria versione dell’incontro cruciale tra i due. E’ successo che abbia vinto la mia ».
Ha lavorato con Steven Spielberg. Come lo descriverebbe?
«Un genio assoluto, interessato alla messa in scena nella sua accezione più totale, ha sempre tutto sotto controllo, la sua visione, precisa, nella testa, la canzone che vuole cantare».
E con Eastwood com’è andata?
«Benissimo, è un grande autore, abbiamo girato I ponti di Madison County in 5 settimane, sempre a partire dalle 5 di mattina, perché lui si lascia il tempo per andare a giocare a golf, ogni sera. Non alza mai la voce, o almeno lo fa di rado, solo se qualcuno fa rumore nel momento sbagliato, quando succede, è capace di chiudere davvero la bocca a tutti».
La scena dello shampoo nella “Mia Africa”: che ricordi ha di quelle riprese?
«C’erano un paio di cose importanti cui dovevamo fare attenzione, naturalmente i leoni, ma anche gli ippopotami che sono molto più feroci. La sequenza dello shampoo richiese parecchio tempo, Robert posava le dita sulla mia testa lentamente, dovette intervenire qualcuno del make-up per spiegargli come doveva fare. Quella scena è incredibile, di sesso al cinema ne abbiamo visto tanto, quella non mostrava niente, ma risultava incredibilmente erotica».
Ha recitato in tante storie d’amore, cosa l’ha interessata di più in quel tipo di racconti?
«Sì, ne ho fatte tante, ma è vero, erano diverse dalle solite, spesso perché le donne che ho interpretato avevano dei lavori, degli interessi, proprio come gli uomini. Per esempio nella Mia Africa lei è Karen Blixen, una magnifica scrittrice».
E’ stata anche Margareth Thatcher. Che cosa l’ha coinvolta, in quella figura così controversa?
«Il fatto che fosse descritta nella fase calante della carriera politica, il film mostra il declino e la confusione mentale , per me questa è stata la calamita».
Come fa ad essere sempre così perfetta quando interpreta una parte?
«Mi viene facile, non so dire perché. Quando sono al telefono, a casa, per qualche faccenda e magari mi risponde un operatore indiano, mi è capitato di sentirmi dire dai ragazzi “mamma, stai parlando con l’accento indiano”. Insomma, non è una cosa complicata, solo un modo per ampliare le possibilità di interpretare persone che siano diverse da me».