Perché i nostri conti spaventano Bruxelles

16.05.2024
Perché i nostri conti spaventano Bruxelles
Perché i nostri conti spaventano Bruxelles

Non si aggiustano i conti vendendo i beni dello Stato. Bisogna uscire dal clima da campagna elettorale permanente, solo così il Paese può avviare riforme e costruire un’economia solida

Nel 2020-21 abbiamo constatato sulla nostra pelle che ci sono diverse varianti di Covid, che non è sufficiente la scomparsa dei sintomi più evidenti per potersi dire guariti e che possono emergere – con il cosiddetto “Covid lungo” – debolezze strutturali prima trascurate o ignorate.

Ebbene, ieri, attraverso le dichiarazioni del Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, abbiamo scoperto che qualcosa di molto simile si può dire della “malattia economica” di cui l’Europa soffre. Non solo: la “variante italiana” di questo vero e proprio morbo economico – sociale, acuitosi negli ultimi tempi in gran parte delle economie avanzate, è una delle più gravi e difficili da curare. Non rischiamo, certo, un “effetto Grecia”, quando quel paese fu, in larga misura, “commissariato” dall’Europa – con risultati complessivamente positivi – ma esistono chiari segni di divari economico-sociali sempre meno sopportabili e sempre più allarmanti, mentre restiamo impantanati in una crescita economica da “zero virgola” che non risolve proprio nulla.

Nel suo complesso, l’economia europea può dirsi convalescente – l’inflazione è scesa più che in altre parti del mondo – ma non può certo considerarsi guarita, specie con una durissima guerra sulla porta orientale della propria casa e con l’incertezza energetica che blocca alcuni paesi, a cominciare dalla Germania. A questi fenomeni di carattere generale, l’Italia aggiunge una sua caratteristica del tutto particolare che si chiama “superbonus”: per usare le parole (molto diplomatiche) di Gentiloni, si tratta di “una misura andata fuori controllo”, aggravando fortemente la debolezza dei conti pubblici, specie in questo periodo di incertezza che ha persuaso le banche centrali di ogni parte del pianeta a non abbassare rapidamente, e in maniera significativa, il costo del denaro.

In Italia, in particolare, si è messa molta liquidità pubblica nelle mani dei proprietari di abitazioni e delle imprese impegnate in questi lavori. In queste giornate di grandi difficoltà meteorologiche nelle regioni del Nord, sottoposte a piogge martellanti, ci si comincia a render conto che forse sarebbe stato molto meglio se una parte di quelle risorse fosse stata utilizzata per lavori pubblici anziché per rifacimenti privati: non è certo un caso se ieri, nella modernissima Milano, sono fuoriusciti dagli argini il Lambro e il Seveso, molte strade sono divenute impercorribili per una vera e propria alluvione ed è stata sgomberata un’ex-scuola nella quale viveva una quarantina di persone. Più in generale, gli edifici pubblici, dalla sanità all’istruzione, sono in condizioni difficili per l’inadeguatezza dei locali.

A fronte di tutto ciò, c’è la riluttanza (o l’impossibilità politica?) ad affrontare apertamente questi problemi e, per conseguenza, il piano italiano inviato a Bruxelles risulta largamente carente. Queste carenze vanno affrontate entro settembre per evitare di finire in mora e non sembra in generale un’idea brillante quella di “tappare i buchi” dei bilanci mettendo in vendita una parte del patrimonio pubblico.

È chiaro che per far questo si deve andare ben oltre i dibattiti e le battute pre-elettorali e anche oltre le prospettive di riforme costituzionali: prima di cambiare la Costituzione – che è, tutto sommato, un edificio abbastanza solido – occorre ricordare che, pur con tutte le carenze sopra delineate, l’Italia è ben lontana dall’essere un paese in pezzi. Lo dimostra, tra l’altro, la vitalità di molti settori produttivi che, proprio perché vanno bene, tendono a passare in secondo piano e quindi a essere largamente ignorati.

Abbiamo ancora la forza di costruire – rimanendo saldamente ancorati all’ambito europeo – un’economia e una società in grado di essere vitali, a livello globale, tra venti o trent’anni. Per riuscirci è però necessario uscire dal clima di campagna elettorale permanente nel quale stiamo vivendo e ricordarci, tra l’altro, che prima di riforme costituzionali, bisogna porre mano alle riforme che implicano lo snellimento dei procedimenti burocratici, come ci siamo impegnati a fare accettando le ingenti risorse del Pnrr.

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