Mentre l’Italia ricordava i morti del treno Italicus e della stazione di Bologna, prima la premier Giorgia Meloni e poi il suo deputato, Federico Mollicone, hanno palesato ambiguità e revisionismo
La storia la scrivono i vincitori. È un vecchio adagio che Federico Mollicone, esponente di punta di Fratelli d’Italia e presidente della Cultura della Camera, deve aver preso un po’ troppo alla lettera, forse con la complicità delle temperature torride di queste settimane che debilitano il corpo e annebbiano la mente. Il deputato in realtà la storia ha cercato di riscriverla, condendo di revisionismo il più classico degli attacchi alla presunta magistratura “politicizzata”, quella che diventa tale quando indaga e condanna gli amici ma viene sovente usata come una clava quando indaga e condanna i nemici.
Il teorema di Mollicone
Nelle ore in cui l’Italia ricordava le stragi del treno Italicus (4 agosto 1974) e della stazione di Bologna (2 agosto 1980) con il presidente Sergio Mattarella a ribadire che sono state “parte dello stragismo neofascista”, Mollicone pensava bene di proporre una sua personale interpretazione delle sentenze, in particolare sull’attentato alla Stazione Centrale che costò la vita a 85 persone causando più di 200 feriti. “Le sentenze hanno rilevato la matrice neofascista”, ha detto l’esponente di Fdi intervistato da La Stampa, “Ma bisogna capire se le sentenze hanno rispettato le garanzie processuali o se si cerca di creare un teorema. Non possiamo accettare come dogmi sentenze che non stanno rispettando le garanzie di un giusto processo. È ora di farla finita con questa ipocrisia”.
E non finisce qui: Mollicone sostiene di avere anche le prove di quanto afferma e di aver pronta un’interrogazione al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con l’intento di verificare quanto denuncia. “Era chiaro dall’inizio del processo a Bellini, criminale conclamato e collaboratore dei servizi e del procuratore Sisti, e che mai ha avuto a che vedere con noi, che l’obiettivo di parte della magistratura fosse quello di accreditare il teorema per cui nel dopoguerra gli Usa, con la loggia P2, il neofascismo e perfino il Msi avrebbero, con la strategia della tensione e le stragi, condizionato la storia repubblicana. Siamo quella destra che, non oggi, ma negli anni Settanta, ruppe con chi scelse il terrorismo. La storia di Bellini non c’entra con la nostra, e nemmeno mi interessa il suo curriculum giudiziario. Ma non posso non vedere l’operazione che i giudici hanno portato avanti e che lo ha reso la vittima di un teorema”, ha spiegato ancora Mollicone.
Lo scontro tra Giorgia Meloni e i familiari delle vittime
Non serve uno scienziato della politica per trovare un legame tra quanto sostenuto dal presidente della commissione Cultura e una frase della premier Giorgia Meloni, che nel giorno della ricorrenza della strage del 2 agosto del 1980 aveva fatto imbestialire l’associazione dei parenti delle vittime e il suo leader, Paolo Bolognesi, utilizzando la formula assai ambigua “Le sentenze la attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste”.
Bolognesi, commentando le parole di Meloni, aveva ricordato: “Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di governo. E la separazione delle carriere dei magistrati era un progetto della loggia P2”. Un attacco frontale a cui la premier aveva replicato, lamentando il rischio che ribadire quanto scritto nelle carte dei processi rappresenti “un rischio per l’incolumità degli esponenti del governo, democraticamente eletto”.
“La prima ambiguità – aveva sottolineato Bolognesi – riguarda il fatto che, citando le sentenze, Meloni non precisa se ne condivide o meno il contenuto. Le sentenze sul 2 agosto però sono il frutto di una mole di prove solide emerse nei processi. Se le si riconosce, allora bisogna ammetterne la validità o chiarire perché no. La seconda è che se sono ‘esponenti di organizzazioni neofasciste’ e non ‘neofascisti’, si potrebbe pensare che abbiano agito autonomamente e contro l’interesse delle sigle eversive a cui appartenevano. È una tesi che sostenne per esempio anche Stefano Delle Chiaie, che del neofascismo armato è stato il padre in Italia”.
“Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di governo”.
Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime della strage di Bologna
Insomma, l’intervista di Mollicone e i non detti della presidente del Consiglio svelano un tentativo neanche troppo celato di contestare le sentenze sulle stragi di matrice fascista e cercare di imporre una nuova verità storica, una verità storica che in qualche modo riabiliti il Movimento Sociale Italiano e neghi i suoi legami con il terrorismo nero. E il motivo è molto semplice: si cerca di cancellare una macchia indelebile dal curriculum del partito oggi alla guida del Paese, sfruttando il momentaneo consenso che “giustificherebbe” un’operazione di questo tipo.
Non tutti però seguono la linea e c’è chi, anche nel partito della premier, prende le distanze: “Non condivido le affermazioni del collega e amico Mollicone – ha dichiarato Edmondo Cirielli, coordinatore della Direzione Nazionale di Fratelli d’Italia – non perché conosca i fatti per poter avere un’opinione personale, ma perché l’essere stato ufficiale dei Carabinieri mi ha insegnato che le sentenze passate in giudicato non si criticano, si applicano. Anche oggi da uomo delle Istituzioni penso che sia giusto questo atteggiamento e perciò non sono mai entrato in questo argomento in 30 anni di carriera politica e oltre 20 da parlamentare di Destra”.
Schlein: “Giorgia Meloni prenda le distanze”
Come prevedibile, le opposizioni chiedono in coro la cacciata di Mollicone e una condanna netta da parte della presidente del Consiglio. “Meloni – ha scritto il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, su X – ha perso le parole mentre il suo fidato di partito, Mollicone (presidente della commissione Cultura!) è arrivato addirittura a mettere in discussione le sentenze che parlano chiaro sulla matrice neofascista della strage di Bologna. Con parole gravissime ha calpestato in un colpo solo le sentenze, le istituzioni, il rispetto per i familiari delle vittime e la memoria di un intero Paese. Un presidente del Consiglio ci mette la faccia di fronte a tutto questo, non va a nascondersi”.
Durissima anche la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein: “Ci voleva uno come Mollicone, dopo due giorni del solito vittimismo di Giorgia Meloni, per confermare che nel suo partito c’è chi tenta di riscrivere la storia negando le responsabilità dei neofascisti accertate dalle sentenze. È molto grave che a 50 anni dalla strage neofascista dell’Italicus, dai banchi istituzionali della destra di governo vi sia ancora il tentativo di inquinare la memoria di quella stagione mettendo in discussione le sentenze su Bologna e criticando la magistratura. Cosa aspetta Meloni a prendere le distanze dalle gravissime parole di Mollicone, che si dimostra del tutto inadeguato a presiedere la Commissione Cultura? Farà prevalere anche stavolta la ragion di partito?”, ha dichiarato Schlein.
Sensi (Pd): “Le parole di Mollicone sono ispirate a un negazionismo complottista neofascistoide”
“Le parole di Federico Mollicone – tuona invece l’ex presidente dell’Emilia Romagna ed europarlamentare dem, Stefano Bonaccini – sono di una gravità inaudita. A fronte di sentenze passate in giudicato, che hanno inequivocabilmente individuato la matrice fascista della strage della stazione di Bologna, Mollicone ribalta la storia e sovverte i fatti, denunciando pubblicamente gli stessi atti della magistratura. Davanti a questo ennesimo tentativo di riscrivere la storia contro tutto e tutti, non spetta più a noi smentirlo, ma direttamente a Giorgia Meloni. La presenza di Mollicone nell’aula di Montecitorio è già in sé uno schiaffo alla dignità del Parlamento e la sua permanenza alla presidenza di una commissione autorevole come quella della Cultura e dell’istruzione della Camera è impossibile. Se Meloni non lo toglie da lì e non lo caccia dal suo partito significa che ne condivide le affermazioni eversive. Saremmo allora di fronte a un problema decisamente più grave”.
Gli fa eco il collega di partito e senatore, Filippo Sensi: “Federico Mollicone – spiega – è un deputato di Fdi già missino. Sulla Strage di Bologna, a due giorni dal 44esimo anniversario di quell’eccidio orrendo e proprio nel giorno del 50esimo dell’Italicus, egli dice cose gravissime, ispirate a un negazionismo complottista neofascistoide che da decenni circola come un veleno in settori ben noti della pubblicistica dell’estrema destra e che è uno schiaffo alla storia d’Italia e alle vittime dello stragismo. Giorgia Meloni, oggi presidente del Consiglio, condivide queste teorie nefaste e tossiche? Se così fosse, saremmo di fronte ad un problema politico enorme. Noi ci auguriamo che non le condivida affatto, e che ne prenda le distanze con chiarezza e con durezza già nelle prossime ore”.
“La presenza di Mollicone nell’aula di Montecitorio è già in sé uno schiaffo alla dignità del Parlamento e la sua permanenza alla presidenza di una commissione autorevole come quella della Cultura e dell’istruzione della Camera è impossibile”.
Stefano Bonaccini, ex presidente dell’Emilia Romagna ed eurodeputato Pd
E a chiedere la cacciata di Mollicone è anche il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli: “Mollicone – spiega – non può più restare a rappresentare come presidente una Commissione Parlamentare, dopo gli attacchi ai giudici della strage di Bologna e la sua contestazione sul loro operato. Il teorema di cui parla Mollicone è solo quello architettato dal suo partito per cancellare la realtà dei fatti, ovvero la stagione stagista neofascista, come ha giustamente sottolineato il Presidente Mattarella”.
Scurati: “Un ceto politico che pretende di riscrivere la storia non potrà mai dirsi democratico”
Sulla vicenda è intervenuto anche lo scrittore Antonio Scurati, autore della trilogia “M” su Benito Mussolini e al centro, lo scorso aprile, si di una polemica per la censura di un suo monologo che doveva andare in onda durante la trasmissione “Che Sarà” condotta da Serena Bortone: “In una democrazia – ha detto Scurati intervistato da Repubblica – la storia la scrivono i popoli quando la vivono, gli storici, i magistrati che conducono le inchieste sui fatti più importanti della vita di un Paese, gli intellettuali con la forza delle parole. Quando, invece, un ceto politico di governo pretende di riscrivere i fatti a suo vantaggio, quel metodo non potrà mai dirsi democratico. Quanto al merito, l’ho detto spesso insieme ad altri, mi pare che il gruppo dirigente che governa in questo momento abbia il neofascismo nella sua biografia politica. E non credo che faccia nulla per nasconderlo, anzi”.