Petraeus: “La difesa israeliana ha vinto il primo round. La risposta arriverà ma non sarà un’escalation”

16.04.2024
Petraeus: “La difesa israeliana ha vinto il primo round. La risposta arriverà ma non sarà un’escalation”
Petraeus: “La difesa israeliana ha vinto il primo round. La risposta arriverà ma non sarà un’escalation”

Il generale americano: «L’attacco diretto dei pasdaran cambia la dinamica in Medio Oriente»

«Quel che è successo l’altra notte – dice il generale David H. Petraeus, già capo della Cia – è stata una grande vittoria per Israele, una dimostrazione del successo di un sofisticato e funzionale schema di difesa aerea contro droni e missili. Grazie all’assistenza di britannici e americani l’attacco è stato sventato. Ma sarebbe sbagliato limitarsi a questa considerazione, quanto avvenuto è il primo attacco iraniano sul suolo israeliano. E questo cambia la dinamica».

Quali conseguenze nell’immediato e a lungo termine immagina?

«Il Consiglio di guerra israeliano valuterà la necessità di una risposta. Avverrà nei modi e nei tempi che la leadership israeliana sceglierà».

Sarà un salto verso l’escalation?

«Ritengo che faranno sì che questa risposta non genererà ulteriori accelerazioni del conflitto».

Cosa attende Israele per agire?

«Anzitutto tiene aperta la via diplomatica, prima vedrà cosa Stati Uniti e i Paesi del G7 faranno in termini di sanzioni. E guarderà anche alle azioni Usa nella regione».

A questo proposito gli Stati Uniti hanno cambiato la postura militare. Hanno spostato caccia-torpedinieri, mosso verso Suez la portaerei Eisenhower e utilizzato le batterie anti missili in Iraq. Prevede un ulteriore rafforzamento in termini di uomini e mezzi americani in Medio Oriente?

«Il Comando Centrale Usa (quello che guida le missioni in Medio Oriente, ndr) sta analizzando se servono ulteriori strumenti partendo da diversi scenari».

Quali ipotizza possano essere?

«Anzitutto si ragiona su cosa direttamente possono fare le forze iraniane e poi non dimentichiamo la capacità offensiva delle cosiddette milizie filoiraniane nella regione. I risultati di queste analisi arriveranno poi al Pentagono e lì il segretario Austin e il suo staff decideranno».

Direttamente, è il caso del Golfo e della zona del Mediterraneo, o indirettamente come in Ucraina e nel Pacifico, Washington è impegnata su tre fronti: sono crisi aperte, conflitti, zone di tensione permanente. Ognuna necessita sforzi economici, di tecnologia e di investimenti. Oltre che la volontà politica di affrontare queste situazioni. L’America è in grado di essere presente sui tre teatri e in ruolo di leadership?

«Senza dubbio, gli Usa sono capaci di gestirli tutti insieme e a questo proposito ritengo anche che questa settimana vedremo il Congresso approvare le misure di assistenza supplementari per Israele e anche per l’Ucraina e Taiwan».

Che forma assumeranno questi aiuti? A Capitol Hill al momento si discute di varie soluzioni…

«È imperativo che la Camera passi rapidamente il testo già approvato da una maggioranza bipartisan al Senato (95 miliardi di dollari, di cui 60 per l’Ucraina) per rafforzare i nostri alleati».

L’attacco iraniano ha mostrato il doppio volto dell’America verso Israele. Totale sostegno dentro l’Amministrazione alla difesa dello Stato ebraico, ma le differenze con Netanyahu sulla gestione del conflitto a Gaza sono profonde. Che impatto avrà il raid iraniano sulla guerra israeliana contro Hamas?

«L’offensiva di Teheran ha riacceso l’attenzione, rinnovata, sulle attività maligne dell’Iran e dei suoi proxy e sin generato un po’ di solidarietà, simpatia persino per le posizioni israeliane. Detto questo, la leadership dello Stato ebraico sa che deve ancora distruggere i quattro rimanenti battaglioni di Hamas. E per citare quanto ha detto Gantz, ministro della Difesa: “Non mandi i pompieri per spegnere solo l’80% delle fiamme”».

Resta la questione di come farà a sconfiggere totalmente Hamas, ed è quello che Biden in fondo imputa a Netanyahu…

«È imperativo che gli israeliani si sforzino per ridurre al minimo le vittime civili, garantire l’accesso di un livello sufficiente di aiuti umanitari a Gaza e comincino a ripristinare i servizi fondamentali e a ricostruire le case distrutte e le infrastrutture. Questo è anche il momento in cui Israele potrebbe lanciare, così facendo, il messaggio alla popolazione che la vita per i civili a Gaza sarà migliore senza Hamas».

Fonte: LaStampa

Lascia un commento

Your email address will not be published.