Luce verde per il primo passaggio della contestata riforma costituzionale della giustizia, fortemente difesa dal ministro Nordio. Ecco cosa succede ora
Primo sì del Parlamento alla riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati. Con 174 sì, 92 no e 5 astenuti l’Aula della Camera ha approvato oggi, giovedì 16 gennaio, il ddl Nordio che divide i percorsi di pm e giudici e crea due distinti Csm, ovvero Consigli Superiori della Magistratura (uno per la magistratura inquirente e uno per la magistratura giudicante, con componenti eletti con sorteggio). La riforma istituisce inoltre anche l’Alta corte disciplinare per le toghe.
Nessuna novità sull’esito del voto: le opposizioni, come è successo sin dall’avvio del percorso parlamentare della riforma, si sono divise, con Azione e Più Europa che, a differenza di Pd, M5s e Avs, hanno votato a favore mentre Italia viva, pur sostanzialmente favorevole alla separazione delle carriere dei magistrati, ha scelto l’astensione in quanto contraria al sorteggio dei componenti laici e togati dei due Csm.
Le opposizioni però, sono invece state unite nel contestare la blindatura del testo sin dalla prima lettura. La maggioranza e il governo, infatti, hanno respinto tutti gli emendamenti delle forze di minoranza e il testo non è stato modificato. Un iniziale tentativo di modifica lo aveva fatto Forza Italia, predisponendo degli emendamenti per eliminare dal sorteggio i componenti laici, ma dopo una riunione a palazzo Chigi tra i vertici della coalizione e il ministro Nordio, gli azzurri hanno ritirato le proposte di modifica che, quindi, non sono state messe in votazione.
Cosa succede adesso e perché si parla di referendum
Il testo dovrà ora passare in Senato per la seconda lettura. Le riforme costituzionali hanno infatti bisogno di due passaggi parlamentari, con l’approvazione duplice di entrambi i rami del Parlamento: quindi le votazioni mancanti sono ancora tre. Nelle due votazioni definitive (di Camera e Senato) deve essere presente la maggioranza assoluta dei votanti.
Il governo, in primis il ministro Nordio, confida nell’approvazione di tutto il pacchetto entro l’estate. In questo caso è comunque possibile chiedere un referendum popolare quando, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, qualora ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Un’eventualità scontata quindi, che traspare anche dalle parole di Nordio dopo l’approvazione: “Certamente, sono contento per il primo sì della Camera al ddl costituzionale sulla separazione delle carriere” ha detto il ministro della Giustizia parlando con i cronisti a Montecitorio, per poi aggiungere “Il percorso è ancora lungo ed è bene che si pronunci anche il popolo”

Il ministro è tornato poi alla polemica con L’associazione nazionale dei magistrati (Anm), da sempre contraria alla riforma: “Anm potrebbe fare battaglia per referendum? L’Anm è un sindacato, come tutti gli altri, rispettabilissimo. Personalmente con i suoi componenti, a cominciare dal presidente Santalucia, ho dei buoni rapporti. Tutti hanno il diritto e il dovere di esprimere le proprie opinioni anche se dissenzienti” ha detto il ministro della giustizia, sottolineando che comunque la riforma “non costituisce di certo un vulnus della democrazia”.
In cosa consiste la riforma Nordio
La riforma si compone di 8 articoli e modifica il Titolo IV della Costituzione con l’obiettivo di separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti. A tal fine, all’articolo 3, il cuore della riforma, vengono previsti due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.
L’articolo 2 modifica il primo comma dell’articolo 102 della Costituzione per precisare che le norme sull’ordinamento giudiziario, che regolano la funzione giurisdizionale esercitata dai magistrati ordinari, devono altresì disciplinare le distinte carriere dei magistrati requirenti e giudicanti. Viene previsto che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, le quali disciplinano altresì le distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti. All’articolo 3, con la modifica all’articolo 104 della Carta, si precisa che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.

La riforma rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana per un sistema come quello italiano e raccoglie non poche critiche. In Italia infatti finora i magistrati requirenti e giudicanti appartengono alla stessa carriera. Tradotto: sono selezionati da un unico concorso e, sia dei procedimenti disciplinari, che di quelli relativi a carriera e trasferimenti, si occupa il Csm, ovvero il Consiglio Superiore della magistratura che è unico per entrambi. Per la costituzione attuale, i magistrati si distinguono tra loro soltanto per le funzioni. Con la riforma voluta da Nordio, il quadro cambia radicalmente.
Altre novità sono poi il sorteggio di un terzo dei componenti dei due Csm e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare che avrà il compito di valutare eventuali sanzioni e provvedimenti nei confronti dei magistrati.
Una riforma contestata di cui si parla dagli anni ’90
Di certo, quella elaborata da Nordio, è una riforma di cui in Italia si parla da decenni e che è stato lungamente richiesta da Berlusconi e Forza Italia a partire dagli anni ’90. Il dibattito sulla separazione delle carriere, trovò spazio in Italia dalla riforma Vassalli, del 1988, che trasformò di fatto il procedimento penale italiano da inquisitorio ad accusatorio e separò nettamente le funzioni tra pubblico ministero e magistrato giudicante.
Secondo i fautori della separazione delle carriere, evitando i trasferimenti dalla funzione di Pm a quella di giudice, si scongiura il rischio che il magistrato giudicante sia influenzato dalla sua attività precedente, ovvero quella di pubblico ministero. Questa soluzione eviterebbe inoltre il rischio che lo stesso magistrato si trovi a dover giudicare su vicende su cui ha precedentemente indagato o sulle quali è stato precedentemente coinvolto come pubblico ministero.

Chi contesta invece la riforma, come ad esempio l’associazione “Magistratura democratica”, punta il dito sulla perdita dell’autonomia della magistratura a scapito del potere esecutivo, una delle basi della moderna separazione dei poteri che caratterizzano gli stati liberali.
Secondo questa impostazione un corpo separato di pubblici ministeri, addetto all’esercizio dell’azione penale e alla direzione della polizia giudiziaria, ma che non fa più parte della giurisdizione, sarebbe destinato inevitabilmente a perdere la propria indipendenza dal potere esecutivo. Non solo: la riforma indebolirebbe anche le competenze del Csm, con la creazione di due organismi distinti e la diminuzione del numero dei magistrati all’interno dei due consigli.
Una posizione ribadita anche da una nota dell’Anm, l’associazione nazionale dei magistrati: “Ribadiamo la nostra profonda preoccupazione per una riforma costituzionale che mette a rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Una riforma sbagliata che non migliora sotto alcun punto di vista il servizio giustizia ma che agisce solamente sulla magistratura e toglie garanzie a tutti i cittadini italiani. La separazione delle carriere determina l’isolamento del pm e ne mortifica la funzione di garanzia. Nel pieno rispetto delle scelte del legislatore vogliamo lanciare nuovamente l’allarme per i rischi che questa riforma porterà con sé”. E la battaglia politica e parlamentare sembra solo all’inizio.