Èl’ultimo anno di guerra e la piccola comunità di Vermiglio ne aspetta la fine. In un maso sperduto tra i boschi ci sono due uomini, due soldati scappati dalla Germania e che si nascondo dai tedeschi. Ma lassù i tedeschi non arrivano e la vita procede scandita dall’alternarsi delle stagioni. Questa calma apparente fa da sfondo alla storia di una famiglia numerosa in cui l’irrequietezza dei più piccoli ricorda alle persone più anziane che il futuro è ancora tutto da scrivere.
Vermiglio è il titolo del secondo film italiano presentato in concorso al Festival di Venezia; la pellicola è scritta e diretta da Maura Delpero, regista di Bolzano al suo secondo lungometraggio.
Il padre della famiglia protagonista della storia, interpretato da Tommaso Ragno, fa il maestro e cerca di impartire lezioni di italiano a una piccola comunità legata a tradizioni, superstizioni e alla propria lingua. I figli sono sette, altrettante le bocche da sfamare, la guerra è sullo sfondo, solo qualche aereo ogni tanto si fa sentire in lontananza. Ma la miseria causata dalla guerra è presente nell’angoscia per i giovani partiti al fronte, per le loro lettere che non arrivano, per la povertà che è il minimo comune denominatore di tutte le famiglie che abitano la comunità. Il punto di vista è quello delle persone più giovani, pre-adolescenti ma anche bambine e bambini che hanno la funzione del coro delle tragedie greche: commentano quello che accade, spesso con ironia e leggerezza, permettendo al film di stemperare di tanto in tanto il tono. Il loro punto di visto è quello sfrontato della fanciullezza, ma anche quello libero dalle sovrastrutture che condannano molte persone della comunità all’ignoranza e all’infelicità.
In questa famiglia numerosa ci sono tre figlie: Lucia, Ada e Flavia; la prima, la maggiore, si innamora di Pietro, il soldato siciliano che si nasconde nel maso; Ada è molto religiosa, si confessa e fa le penitenze ogni qualvolta il peccato la induce in tentazione e quel peccato ha il volto di Virginia (Carlotta Gamba), una ragazza sfrontata che non vuole seguire le regole imposte dalla vita di paese. Flavia, la più giovane tra le sorelle, è anche la più brava a scuola e questa sua propensione allo studio la rende la favorita di suo padre, che le impartisce lezioni private per darle tutti gli strumenti per continuare gli studi in collegio a Trento. Nel racconto corale che il film fa delle dinamiche familiari, la regista sceglie di focalizzarsi con maggiore attenzione su queste tre storie femminili e il risultato è un’epopea femminile degna della migliore letteratura.
A chi le chiedeva se l’intenzione fosse quella di scrivere un film femminista, Delpero ha risposto che il suo processo creativo avviene in maniera incosciente e che quindi non era sua intenzione non era scrivere un film schierato, tuttavia sente di avere dentro di sé tutte le donne che l’hanno preceduta, a cominciare dalla nonna materna a cui si ispira la matriarca del film. Vermiglio ricorda la tetralogia di Elena Ferrante, Lessico familiare di Natalia Ginzburg, ma anche a C’è ancora domani, il film di Paola Cortellesi, tutte opere che fanno i conti con i traumi collettivi e privati della seconda guerra mondiale, ma anche dai cambiamenti che quella tragedia ha generato.
Il film di Delpero racconta e si interroga nell’intimo della femminilità, di quella del passato in cui alcune donne trascorrevano la maggior parte della propria vita nella cucina della propria casa. Ma è anche una storia di tempi futuri, il futuro delle tre giovani donne protagoniste in fuga da un mondo dove non si esprimono opinioni patriarcali e dove le donne non danno giudizi vittimizzanti sulle loro figlie.
Nel film ci sono anche gli uomini: quelli che non sono partiti per la guerra e sono rimaste e supplire la loro mancanza. Giocoforza qui il discorso è rivolto al passato, da quello da cui si cerca di scappare, dai traumi della guerra, ma anche del tempo che passa e lascia acciacchi e rimpianti, come quelli del personaggio interpretato da Tommaso Ragno che trascorre ore nel suo studio a fumare, a leggere, ascoltare dischi che si fa arrivare da Milano nonostante il personaggio della moglie gli ricordi che i soldi non bastano mai.
Vermiglio è una storia di guerra senza bombe e senza grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo e che può portare a un grande isolamento di chi la abita. Questa stacità si riflette nel linguaggio scelto dalla regista, che racconta questa storia attraverso inquadrature altrettanto statiche che sembrano quadri e che regalano al film un lirismo a cui forse non siamo più abituati.
Vermiglio è un film che denota una visione e racconta una storia privata ma allo stesso tempo collettiva, che risuonerà nella memoria del pubblico come solo i grandi film sanno fare.