Toti e la diga da un miliardo: “Potremmo doverla pagarla due volte”

23.05.2024
Toti e la diga da un miliardo: "Potremmo doverla pagarla due volte"
Toti e la diga da un miliardo: "Potremmo doverla pagarla due volte"

Il presidente dell’Anac Giuseppe Busia a Today.it: “È necessaria una legge che metta divieti e limiti ai finanziamenti privati alla politica”. E sul nuovo codice degli appalti di Salvini: “Il limite sugli affidamenti diretti è troppo alto. Quando spendiamo cento volte di meno chiediamo almeno due preventivi”

L’inchiesta sulla corruzione in Liguria, che ha portato all’arresto del governatore Giovanni Toti, getta pesanti ombre sulla diga di Genova, il progetto più oneroso finanziato con i fondi del Pnrr. Il costo stimato dell’opera è di 1,3 miliardi di euro e a realizzarla sarà WeBuild, la stessa società amministrata da Pietro Salini citato nelle intercettazioni che hanno messo nei guai il presidente ligure, l’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini e l’imprenditore Aldo Spinelli. Nelle scorse settimane l’Autorità nazionale anticorruzione ha sollevato delle criticità sull’opera, ribadendo dei rilievi già evidenziati nel 2023.

Busia (Anac): “L’opera potrebbe costare molto di più”

“Partendo dal presupposto che vale per tutti il principio di non colpevolezza – spiega il presidente di Anac, Giuseppe Busia, a Today.it – e che noi non entriamo nel merito dell’inchiesta della Procura, sulla diga di Genova abbiamo verificato che sul contratto ci sono alcune criticità su cui avevamo già avviato un’interlocuzione con l’amministrazione: da un lato c’è un ricorso a procedure straordinarie non adeguatamente motivate, con conseguente riduzione della concorrenza, dall’altro un utilizzo di prezzari non aggiornati e quindi minore partecipazione alle gare”.

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“E poi – continua – abbiamo evidenziato i rischi relativi all’aumento dei costi: fosse confermato il giudizio del Tar, l’attuale aggiudicatario risulterebbe non avere i requisisti per svolgere il lavoro, ma in virtù del fatto che si opera all’interno di procedure speciali, tutte le pronunciazioni, sia la nostra che quella del Tribunale, non potranno fermarlo. E quindi lo Stato, oltre a pagarlo, dovrà risarcire l’impresa che avrebbe dovuto lavorare al suo posto. Infine, l’imprecisione riscontrata nei documenti di gara sui possibili scenari alternativi, apre la via al fatto che il privato possa richiedere varianti in corso d’opera, con conseguenti aumenti di costo, anche importanti, su un’infrastruttura già di per sé molto costosa. Alcune sorprese già ci sono state e anche queste varianti finiranno per gravare sulle casse dello Stato”.

Il presidente di Anac, Giuseppe Busia 

Tra il 2015 e il 2020, in un Comune su quattro con più di 15 mila abitantisi è registrato almeno un caso di corruzione. Ed è boom di affidamenti diretti che hanno riguardato il 49,6 per cento degli appalti totali di importo da 40 mila euro in su, con punte del 90 per cento per gli importi di valore inferiore. Una vicenda che si intreccia con la norma per eccellenza che regola i rapporti tra pubblico e privato: il codice degli appalti. Le modifiche apportate dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, per molti spianerebbero la strada a nuove Tangentopoli, perché sotto il vessillo della semplificazione nasconderebbe rapporti opachi tra pubblico e privato. 

“Il limite di 140 mila euro per gli affidamenti diretti? Tutti noi, quando spendiamo 1.400 euro, chiediamo almeno due preventivi”

“Col nuovo codice degli appalti – spiega ancora Busia – si è scelto di aumentare gli affidamenti diretti sulle forniture di beni e servizi a 140 mila euro. Il problema che rileviamo è che la discrezionalità è molto ampia: quando si parla di servizi, ad esempio, si parla anche di consulenze; tutti noi, quando dobbiamo spendere 1.400 euro chiediamo almeno due preventivi, scrivere nel codice che ci si rivolge al primo soggetto ordinariamente è qualcosa che, anche quando non c’è commistione, vicinanza o addirittura corruzione, rischia da un lato di non selezionare l’operatore migliore, dall’altro di pagare di più. È come andare al primo negozio sotto casa senza neanche prendersi la briga di girare l’angolo e cercare un’offerta migliore”.

“Scrivere nel codice degli appalti che ci si rivolge al primo soggetto è come andare al primo negozio sotto casa senza neanche prendersi la briga di girare l’angolo e cercare un’offerta migliore, il rischio di pagare di più”. Così Giuseppe Busia, presidente di Anac, a Today.it

Se l’ente si rivolge al primo che trova e quel primo che trova sa già che l’ente può spendere fino a 140 mila euro per quel servizio, è più facile che vada a gonfiare il preventivo sapendo che non esiste un’altra offerta su cui fare il confronto. Ovviamente non parliamo di situazioni in cui ci sono ragioni di estrema urgenza, su cui il rischio di spendere di più passa ovviamente in secondo piano”.

“Serve una legge sui portatori di interesse e sulle lobby”

L’inchiesta di Genova riapre un altro grande tema, quello del rapporto tra la politica e le lobby. Con la fine del finanziamento pubblico ai partiti e la conseguente corsa ai contributi dei privati, ci si chiede da più parti come impedire che un politico o un partito che riceve un finanziamento da una realtà che riceve affidamenti o partecipa a gare pubbliche, non vada a tutelare gli interessi del suo finanziatore andando contro l’interesse pubblico. In Parlamento c’è una pdl presentata da Azione che vuole limitare il fenomeno ponendo una serie di paletti: la proposta prevede, per le aziende che finanziano la politica a vari livelli, un limite molto basso sulla percentuale del fatturato derivante da appalti pubblici. In pratica, fosse stata in vigore la norma presentata dal partito di Carlo Calenda, Aldo Spinelli non avrebbe potuto contribuire alle campagne elettorali di Giovanni Toti e di altri, pena essere tagliato fuori da ogni assegnazione statale.

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 “È quanto mai necessaria – continua il presidente Anac, Giovanni Busia – l’approvazione di una legge sui portatori di interesse delle lobby; In Italia non l’abbiamo anche se è stata sollecitata più volte dagli organismi internazionali. Una legge che non sia punitiva delle attività dei lobbisti, che siano singoli, imprese, associazioni sindacali o del terzo settore – perché il decisore pubblico ha bisogno di interloquire con loro – ma che renda le consultazioni trasparenti e leggibili a tutti”.

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“Infine – conclude Busia – vanno regolamentati i legami economici, ovvero quelli determinati contratti e convenzioni, stipulati tra questi soggetti e chi decide le assegnazioni. Servono quindi divieti e limiti: i divieti servono in caso di conflitto diretto, i limiti a evitare di andare in una democrazia in cui si rischia di favorire i partiti o i candidati che hanno più mezzi economici o comunque chi è più vicino a chi ha più mezzi. Personalmente penso che il pubblico dovrebbe aiutare i candidati offrendo loro servizi e non denaro: ad esempio sale per le iniziative pubbliche, piattaforme online per organizzare dibattiti e tutto quello che serve a chi vuole fare una buona politica. Insomma, tutti dovrebbero avere la possibilità di diffondere idee e programmi senza particolari oneri e quindi senza dover andare a cercare risorse”.

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