Palazzo Chigi: «Bene che se ne parli, ma sono argomenti solo per la campagna elettorale». Procaccini: «I tempi non sono maturi, ma è più facile che arrivi a guidare il Consiglio»
Non è facile per Giorgia Meloni gestire il caso Mario Draghi. Nella bilancia degli equilibri ogni parola e ogni considerazione possono portare verso una direzione o verso un’altra, provocando un effetto politico sulle alleanze in Italia e in Europa. Ma Draghi è lì, una presenza costante che pesa sul dibattito italiano e che può avere un costo in campagna elettorale.
In questo spazio strettissimo Meloni deve dare la risposta migliore per la non semplice posizione in cui si è ritrovata: sostenere un’eventuale candidatura di Draghi alla guida del Consiglio europeo o della Commissione? E al momento la risposta migliore non è né un endorsement, né una bocciatura: «Chiaramente è una persona molto autorevole e io sono contenta che si parli di un italiano per un ruolo del genere. Dopodiché – aggiunge – tutto questo dibattito è una filosofia buona per i titoli dei giornali e buona, magari, per fare campagna elettorale». Secondo Meloni dovrebbe funzionare diversamente: si vota, si contano i seggi, «si stabiliscono quali sono le maggioranze possibili, e all’esito di questo ragionamento si comincia a parlare dei nomi».
La premier sa bene che il toto-nomi è già partito e dei futuri vertici europei si sta già parlando tra le Cancellerie e tra i partiti. Meloni deve tener conto anche di una novità, che forse non si aspettava: una presa di posizione durissima del suo vicepremier Matteo Salvini contro Draghi. La leader di Fratelli d’Italia è abituata ai suoi distinguo, ma questa volta la mossa del leghista ha il sapore della vendetta, verso l’ex banchiere, e del contrappasso, per Meloni. Prima, l’altro ieri, Salvini pubblica stralci del suo libro in cui racconta, con giudizi molto critici, il comportamento di Draghi durante la formazione del governo di emergenza nazionale, nel 2021, e quando prova a farsi eleggere al Quirinale, un anno dopo. Poi, si spiega ancora meglio: «La Lega – ribadisce ieri – ha già fatto i suoi sacrifici e l’abbiamo scontata. Come dicono a Genova “emmo za deto”». Quando nacque il governo Draghi, il Carroccio – complici i legami tra l’ex Bce e il numero due del partito Giancarlo Giorgetti – fu spinto dentro la grande coalizione, nonostante i dubbi di Salvini che non voleva entrare in maggioranza con il Pd, lasciando sola Giorgia Meloni all’opposizione. Adesso i ruoli sembrano capovolgersi, e potrebbe essere lei a dover sostenere il suo predecessore in Europa. Potrebbe doverlo fare suo malgrado, soprattutto se i negoziati guidati da Francia, Germania, e magari Polonia, convergeranno su questo nome.
Lo scenario che Meloni, però, ritiene più favorevole ai suoi piani è quello di Draghi alla presidenza del Consiglio europeo. Un approdo, sulla carta, anche più facile, come ammette apertamente Nicola Procaccini, uomo della leader a Bruxelles e presidente del gruppo dei Conservatori: «La mia sensazione è che la sua figura sia più collocabile nel Consiglio europeo che non nella Commissione europea, francamente non riesco a immaginarmelo in quel ruolo». Meloni «non ha detto che siamo contrari, ha detto che al momento è prematuro parlarne e che al netto dell’autorevolezza di Draghi bisogna vedere qual è il ruolo, anche perché ci sono ruoli più o meno politici. Il presidente della Commissione è un ruolo molto più politico del presidente del Consiglio Europeo. In quest’ottica bisognerebbe poi vedere che tipo di politica vuole attuare Draghi».
Al momento Ursula Von der Leyen è l’unica candidata ufficiale per succedere a se stessa alla Commissione. Ed è la candidata del Partito popolare europeo. Meloni e Von der Leyen si confrontano in un breve bilaterale, a margine di un Consiglio dedicato al rapporto di Enrico Letta sulla competitività. Un summit dove si registrano fratture sull’unione dei mercati dei capitali, che è una delle proposte anticipate anche da Draghi. Avere l’ex banchiere al Consiglio, permetterebbe a Meloni di lavorare per un commissario più di fiducia, e non è un segreto che tra i fedelissimi potrebbe essere il ministro Raffaele Fitto. Certo è che le distanze che esistevano sulle politiche economiche dell’Ue, tra Meloni e Draghi, si sono accorciate. Come spiega la stessa premier: «Per me è molto interessante che e sia Draghi sia Enrico Letta, che sono considerati – semplificando – due europeisti, in realtà ci dicono che l’Europa va cambiata».
Perché, aggiunge, «se diciamo di no al debito comune, se diciamo di no al debito degli Stati nazionali, se diciamo di no ai capitali privati, comunico ufficialmente che possiamo continuare a disegnare le strategie più belle che ci vengono in mente ma non le realizzeremo. Ed è esattamente la posizione che ho tenuto in Consiglio europeo».
Fonte: LaStampa