Suona il messaggio dell’allerta nella stanza d’albergo in cui mi trovo. Non conosco l’ucraino, ma ho capito che quella parola si traduce in italiano con “attenzione”. È l’ennesima sirena che interrompe il mio sonno da quando sono a Kiev. Увага, ripete ancora il messaggio. Ancora con gli occhi chiusi, afferro il telefono per controllare l’orario: 4:36 del mattino del 12 febbraio. L’app dell’alert sembra impazzita: continua a mandare notifiche per segnalare il pericolo di un attacco aereo. La stanchezza mi lega al letto e per tranquillizzarmi mi dico che è l’ennesimo allarme per i droni entrati nello spazio aereo di Kiev. D’altronde è sempre stato così nelle notti precedenti. Non faccio in tempo a concludere questo pensiero che sento due forti colpi provenire dall’esterno. La paura mi immobilizza. E poi ancora due colpi, questa volta più nitidi. Scendo dal letto, afferro il giubbino ed esco dalla mia stanza. Cinque piani di scale mi separano dal rifugio che è nella stessa struttura (per legge, gli alberghi devono essere dotati di un rifugio anti bomba). Percorro le rampe alla massima velocità, con il fiato corto, mentre fuori le esplosioni diventano sempre più forti. Entro nello shelter, che altro non è che uno spazio ricavato dal parcheggio interno dell’albergo. Qui sono al sicuro, mi dico, mentre dall’esterno continuano a provenire i suoni delle forti esplosioni. Mi siedo e controllo sui gruppi Telegram le ultime informazioni, aiutandomi con Google Translate. Leggo che contro la capitale ucraina sono stati lanciati diversi missili balistici Iskander.

I colpi forti che avevo udito erano dei sistemi di difesa missilistica, probabilmente gli americani Patriot, richiesti da Kiev con insistenza da ormai tre anni alle potenze occidentali per proteggersi dagli intensi attacchi aerei condotti dalla Russia sulle infrastrutture civili e sulla rete elettrica nazionale. I Patriot giocano un ruolo cruciale nella difesa dell’Ucraina e il presidente Volodymyr Zelensky sa benissimo che senza non c’è “protezione completa” per il paese invaso dalla Russia. I sistemi di difesa a stelle e strisce sono diventati moneta di scambio tra Kiev e Washington: sono gli stessi che il presidente statunitense Donald Trump minaccia di non fornire più se Zelensky non firma l’accordo sulle risorse minerarie dell’Ucraina.
L’allarme rientra dopo circa un’ora. Ritorno nella mia stanza e controllo i media locali. Una persona è morta e altre quattro sono rimaste ferite, tra cui una bambina di 9 anni, per un missile che ha colpito due edifici per uffici nel distretto di Obolon (nella foto qui sotto). Altre esplosioni si sono verificate nei distretti di Holosiivskyi, di Solomianskyi e di Podilskyi, quello in cui mi trovo, generando diversi incendi.

La pace svenduta dagli Stati Uniti
In un’ora di bombardamenti, l’esercito ucraino ha abbattuto sei dei sette missili balistici e 71 dei 123 droni lanciati dalla Russia su Kiev. Poche ore prima del bombardamento sulla capitale, il presidente Zelensky aveva lasciato intendere che l’Ucraina sarebbe stata pronta a scambiare territori con la Russia in potenziali negoziati di pace. Nello stesso giorno in cui sono piovuti missili su Kiev, Trump e il presidente russo Vladimir Putin hanno avuto una telefonata (la prima da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca) per concordare l’avvio di “immediati” negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina. Gli sviluppi successivi dipingono un quadro preoccupante. Trump ha etichettato Zelensky un “dittatore” perché non organizza elezioni, omettendo che c’è una legge marziale in atto proprio a causa della guerra. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha escluso la restituzione della Crimea all’Ucraina e l’adesione del Paese alla Nato dopo la fine della “grande guerra”. È questo il modo con cui gli ucraini chiamano l’invasione su larga scala del 2022, per distinguerla dal vero conflitto iniziato con Putin nel 2014 con l’occupazione della penisola della Crimea. Kiev, pur essendo l’aggredita, viene descritta come l’aggressore, perdendo la possibilità di influenzare i negoziati sul proprio destino, che sembrano riguardare solo Russia e Stati Uniti.
A tre anni dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, che ha avuto inizio il 24 febbraio 2022, Mosca occupa ancora circa il 20 per cento del territorio ucraino, dopo aver guadagnato oltre 4mila chilometri quadrati nel 2024. La Russia continua a bombardare le città ucraine, mentre Kiev risponde con attacchi di droni su navi e veicoli militari russi.
Quanto vale l’Ucraina? Con l’ingresso nel terzo anno di guerra, è il momento di riflettere su quanto ogni parte coinvolta nel conflitto attribuisca valore a Kiev. Dall’inizio del conflitto, l’Ucraina ha ricevuto circa 407 miliardi di dollari in aiuti, di cui oltre 118 miliardi dagli Stati Uniti, ma avverte segnali di “stanchezza” dagli alleati occidentali. I combattimenti e gli attacchi aerei negli ultimi tre anni hanno causato più di 40mila vittime civili, mentre 4 milioni di persone sono sfollate internamente e 6,8 milioni hanno cercato rifugio all’estero. Attualmente, 14,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria.
Questi, però, sono numeri freddi e difficilmente raccontano i crimini di guerra commessi negli ultimi tre anni dai russi, come dimostrato con il massacro di Bucha, i bombardamenti sugli ospedali pediatrici le deportazioni forzate dei minori in Russia e la tortura dei prigionieri di guerra.
Come gli ucraini rispondano agli attacchi di droni Shahed e missili balistici
I continui attacchi notturni contro le città di Odessa, Zaporizha, Kiev, Kramatorsk, Dnipro e le diverse regioni ucraine dimostrano che la pace non si sta avvicinando. Anzi, è l’ennesima conferma di come Putin voglia sfiancare l’umore degli ucraini nelle città anche lontane dal fronte, dove durante il giorno la vita va avanti nonostante gli alert.
La minaccia è continua. Anche se una notte non piovono missili sulle città, i droni Shahed irrompono nei cieli ucraini, impegnando l’esercito in una massiccia operazione di difesa per evitare morti, distruzioni e danneggiamenti dell’ennesima centrale elettrica o termoelettrica. Sul campo diplomatico Mosca non sembra voler negoziare (se non per ottenere quanto più possibile dall’Ucraina), mentre la Casa Bianca sostiene la tesi della resa e dell’umiliazione degli ucraini che da tre anni convivono con il suono della sirena che spezza la quotidianità delle loro vite. Non possono silenziarla, come non possono fermare gli attacchi russi da cui ormai non ci si ripara per stanchezza e assuefazione o anche perché i rifugi non sono presenti in tutte le strutture. Semplicemente ci convivono e rispondono riempiendo i locali, i teatri, e persino le discoteche (pur sempre rispettando il coprifuoco, che scatta a mezzanotte) per darsi forza come comunità coesa contro l’aggressore.
Raccolgono fondi e organizzano dibattiti per solidarizzare, sostenere e aiutare i soldati e le soldatesse che sono al fronte, anche se tra i renitenti alla leva aleggia la paura dei “reclutatori stradali” nei mercati e nelle stazioni. Ad alimentare questa spinta è la speranza della vittoria, anche se inizia a montare la delusione per l’atteggiamento dell’alleato americano (a cui riconoscono una immensa gratitudine). E lo fanno con sarcasmo, tipico degli ucraini. Ne ho avuto prova il mattino del 12 febbraio, poche ore dopo il bombardamento, quando una collega ucraina mi ha scritto: “Hai conosciuto le nostre abitudini: essere svegli alle 5-6 del mattino e scambiare messaggi colmi di sarcasmo per processare questa nuova realtà”. Realtà quanto mai incerta dopo tre anni di guerra.