La crisi umanitaria in Sudan si aggrava con l’assedio di Al Fashir
Nelle ultime settimane, le Rapid Support Forces (RSF), il gruppo paramilitare coinvolto nella sanguinosa guerra civile in corso, hanno intensificato gli attacchi su Al Fashir, l’ultima grande città del Sudan ancora sotto il controllo dell’esercito. La città è sotto assedio da maggio 2024, con le RSF che hanno cominciato a costruire un muro di 30 chilometri che circonda Al Fashir, accentuando le difficoltà per circa 260.000 residenti, riporta Attuale.
La guerra civile in Sudan è scoppiata nell’aprile 2023 e ha già causato 12 milioni di sfollati, con un bilancio di almeno 150.000 morti e una delle peggiori crisi umanitarie del XXI secolo. Lo scorso marzo, l’esercito ha riconquistato la capitale Khartum, che era rimasta sotto assedio e divisa tra le due fazioni per due anni. Da quel momento, le RSF hanno iniziato a ritirarsi verso ovest, prendendo di mira il Darfur. A metà aprile, oltre 1.500 persone sono state uccise in un attacco violento al campo profughi di Zamzam, uno dei massacri più gravi dall’inizio del conflitto, spingendo più di mezzo milione di persone a fuggire verso Al Fashir, dove le condizioni di vita sono disastrose.
Per un anno, i convogli alimentari delle Nazioni Unite non sono riusciti a consegnare cibo e beni di prima necessità poiché sono stati frequentemente attaccati, implicando la responsabilità sia dell’esercito che delle RSF. Testimonianze riportate dal New York Times segnalano che la popolazione è costretta a mangiare quasi esclusivamente ombaz, un composto a base di farina di bucce di arachidi e acqua, normalmente destinato al bestiame. Alcuni soccorritori locali hanno già documentato 18 decessi per intossicazione da questo alimento nei giorni scorsi.
Il solo ospedale attualmente operativo ad Al Fashir, l’ospedale Al Saudi, ha subito più di 30 bombardamenti. Un medico, Omar Selik, ha dichiarato che quotidianamente si presentano circa 30-40 bambini in cerca di cibo, ma il personale è in grado di fornire solo ombaz. Negli ultimi 14 giorni, 14 bambini sono morti di malnutrizione, mentre la città sta affrontando un’epidemia di colera. Il dottor Taha Khater di Emergency Response Rooms ha evidenziato che un chilo di pasta è venduto a più di 62 euro, un prezzo dieci volte superiore rispetto ad altre aree del Sudan.
In un contesto già drammatico, l’ospedale accoglie anche donne vittime di violenza sessuale, con una media di 40 casi a settimana, un numero che sicuramente sottovaluta la reale entità della crisi. Le RSF utilizzano infatti lo stupro come arma di guerra contro la popolazione assediata.
Con la costruzione del muro attorno a Al Fashir, la fuga dalla città è diventata ancora più difficile. Le persone tentano di scavalcarlo di notte e, se catturate, rischiano violenze o detenzioni. Coloro che riescono a lasciare la città spesso si dirigono verso Tawila, una località 60 chilometri a ovest, controllata da un’altra fazione ribelle, il Movimento di liberazione del Sudan, che offre un minimo di supporto umanitario. Qui, circa 600.000 sfollati trovano un soccorso limitato grazie ad alcune ONG internazionali.
Le violenze perpetrate dalle RSF ad Al Fashir sono oggetto di indagine da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che ha accertato crimini contro l’umanità, in particolare nei confronti del gruppo etnico zaghawa, prevalentemente presente nei campi profughi come quello di Zamzam. Anche l’esercito sudanese ha compiuto attacchi contro i civili, uccidendo decine di persone in un mercato nel Darfur lo scorso marzo.