La decisione di introdurre e poi ritirare il provvedimento è un suicidio politico per Yoon. Nonostante i proclami, all’orizzonte non si presentava alcuna minaccia all’ordine costituzionale, alla democrazia sudcoreana né verso lo stesso presidente
“Cari cittadini, proclamo la legge marziale per proteggere la Repubblica di Corea dalle minacce comuniste della Corea del Nord e dalle forze anti-Stato che minano la nostra libertà e il nostro ordine costituzionale”, ha dichiarato ieri sera (ora locale) il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol davanti alle telecamere dell’emittente televisiva YTN per comunicare l’entrata in vigore della legge marziale. Subito dopo l’annuncio del presidente conservatore, centinaia di persone sono scese in strada e hanno raggiunto il palazzo dell’Assemblea nazionale per allontanare lo spettro di una svolta autocratica nella giovane democrazia asiatica.
Lo spauracchio delle “forze comuniste nordcoreane”
Ricostruiamo cosa è successo nelle scorse ore. Senza giri di parole, il presidente Yoon ha puntato il dito contro l’opposizione, spiegando che la misura era necessaria per proteggere la Corea del Sud dalle “forze comuniste nordcoreane”. In realtà, la mossa non è legata al rischio di un attacco imminente della Corea del Nord, ma a ragioni interne. Non è la prima volta, però, che il presidente ha agitato lo spauracchio delle forze vicine a Pyongyang, tanto da diventare una narrazione nota alla popolazione sudcoreana.
Il terreno di scontro tra il Partito del Potere Popolare di Yoon e il Partito Democratico, che siede all’opposizione seppur abbia conquistato un’ampia maggioranza parlamentare alle elezioni legislative dello scorso aprile, è soprattutto la legge di bilancio. La scorsa settimana i parlamentari dell’opposizione hanno approvato un piano di bilancio molto ridimensionato rispetto ai desiderata presidenziali, in una mossa vista come un tentativo di contrastare la presidenza di Yoon.
Perché il presidente ha dichiarato l’applicazione della legge marziale
La decisione di introdurre la legge marziale, poi ritirata, è per Yoon un suicidio politico. Nonostante i proclami, all’orizzonte non si presentava alcuna minaccia all’ordine costituzionale, alla democrazia sudcoreana né verso lo stesso presidente.
Il clima politico sudcoreano è però avvelenato da diverso tempo. Dopo le elezioni dello scorso aprile, che hanno consegnato all’opposizione 170 seggi del parlamento su 300, Yoon deve essersi sentito alle strette e in difficoltà per il suo ruolo da “anatra zoppa”. La situazione è probabilmente precipitata quando Yoon, un ex procuratore molto attivo nelle indagini sugli ex presidenti – tra cui Park Geun-hye, l’unica leader destituita in era democratica – è diventato il bersaglio di attacchi politici da parte dell’opposizione.
Per far valere la sua voce su un parlamento sempre contrario, ha esercitato dal 2023 ben 25 volte il potere di veto. Ha poi respinto gli attacchi di chi lo ha accusato di metodi illiberali, autoritari e familismo. Da tempo l’Assemblea nazionale chiede un’inchiesta sulla moglie del presidente, per i presunti reati di insider trading e corruzione (avrebbe accettato una pochette di Dior da 2.200 dollari senza dichiararlo, cosa che è illegale nel paese). Da quando ha ottenuto l’incarico di presidente nel 2022 – con un margine risicato di soli 0,8 punti percentuali -, Yoon ha usato il pugno duro contro i sindacati e le organizzazioni per la difesa dei diritti lavoratori e ha minacciato di cancellare e limitare i diritti per la difesa delle donne e della comunità LGBTQ. La popolarità del presidente è bassissima, complice appunto la sua presa autoritaria: l’ultimo sondaggio lo dava al 25 per cento del gradimento popolare.
Quello che è accaduto nelle ultime ore è la rappresentazione tangibile della polarizzazione della politica interna. Durante la campagna elettorale che gli ha poi garantito la guida del paese, Yoon ha criticato il suo predecessore, il presidente progressista Moon Jae-in, per aver incontrato il leader nordcoreano Kim Jong Un senza riuscire a fermare le sue ambizioni nucleari. Una volta assunto l’incarico, Yoon ha adottato una politica dura nei confronti della vicina Corea del Nord, avviando anche un coordinamento trilaterale con Stati Uniti e Giappone (con il quale la Corea del Sud si è avvicinata dopo anni di gelido silenzio per il passato colonialista) in funzione anti cinese e anti nordcoreana.
L’approccio gli ha fatto guadagnare favori a Washington, ma non gli ha consegnato un appoggio popolare. A livello interno, i sudcoreani da una parte chiedono maggiori attenzioni da parte del governo per contenere il rincaro degli affitti e l’aumento della disoccupazione giovanile, e dall’altra lamentano un attivismo di Seul in politica estera (come il sostegno all’Ucraina in difesa della Russia) che potrebbe portare il paese in una guerra lontana e indesiderata. Senza dimenticare lo spauracchio della minaccia nordcoreana.
Abbandonato da tutti, il presidente Yoon è ormai rimasto solo
L’improvvisa imposizione di una legge marziale d’emergenza da parte del presidente Yoon ha fatto sprofondare la Corea del Sud per quasi sei ore, fin quando il presidente conservatore non è nuovamente intervenuto in televisione per annunciare la revoca della legge marziale dopo il voto dell’Assemblea nazionale: il parlamento sudcoreano ha adottato una risoluzione con i voti favorevoli di tutti i 190 deputati presenti al momento della votazione su un totale di 300 (l’opposizione dispone di 170 seggi). Per legge, il presidente sudcoreano si è dovuto conformare al voto dei parlamentari.
Per il presidente conservatore si è aperta così la via dell’impeachment: sei partiti di opposizione hanno deciso di accelerare il passo per la messa in stato d’accusa del presidente Yoon. Mettere sotto accusa il presidente richiede il sostegno di due terzi del Parlamento, 200 sui 300 deputati totali, e poi il supporto di almeno sei su nove giudici della Corte costituzionale. La mozione di impeachment dovrebbe essere messa ai voti già venerdì 6 dicembre ma è anche possibile uno slittamento al 7 dicembre.
Non solo l’opposizione, ma anche il partito di maggioranza ha chiesto le dimissioni del presidente. Nelle prime ore di mercoledì, il capo dello staff e diversi collaboratori di Yoon si sono dimessi in massa. Secondo le ricostruzioni delle ultime ore, i membri del Partito del Potere Popolare di Yoon erano all’oscuro della mossa del presidente conservatore da cui hanno preso subito le distanza. I media sudcoreani riportano che dietro al progetto di imporre la legge marziale ci sia la mente di Kim Yong-hyun, il ministro della Difesa sudcoreano. Kim, come il suo presidente Yoon, rischia di affrontare l’impeachment e le accuse penali di tradimento, un reato punibile con l’ergastolo. Per salvarsi dalla messa in stato di accusa, Kim ha riconosciuto le sue “piene responsabilità” e ha presentato le dimissioni al presidente Yoon, che a sua volta deve approvarle. Se le dimissioni del ministro della Difesa saranno accettate, la mozione di impeachment nei suoi confronti non sarà quindi necessaria.
Cosa succederà ora in Corea del Sud? Se Yoon dovesse dimettersi o venisse rimosso dall’incarico, il primo ministro Han Duck-soo subentrerebbe come presidente ad interim. Almeno fino alla prossima scelta di un candidato che non minerà la democrazia sudcoreana.