L’attacco senza precedenti di Israele all’Iran: analisi e prospettive
L’offensiva di Israele contro l’Iran, iniziata giovedì notte, si distingue per la sua scala e gli obiettivi, senza precedenti rispetto alle azioni degli scorsi mesi. Mentre in passato si erano verificate dimostrazioni di forza con conseguenze limitate, questa volta l’intento di Israele è chiaramente quello di infliggere danni significativi all’intero regime iraniano. Le informazioni rivelano che l’assalto durerà nel tempo, con un portavoce dell’esercito israeliano che ha affermato che questo è solo l’inizio, riporta Attuale.
Per comprendere appieno la situazione, è essenziale delineare gli obiettivi di Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, in un videomessaggio, ha specificato le sue intenzioni: “Eliminare la minaccia nucleare e quella dei missili balistici”. Questa operazione avviene attraverso un’intensa campagna di bombardamenti mirati sui siti nucleari e di lancio dei missili, affiancata da attacchi focalizzati contro i leader militari iraniani, indebolendo così la catena di comando.
Tuttavia, un ulteriormente ambizioso obiettivo menzionato implicitamente da Netanyahu è il cosiddetto regime change. La distruzione dell’infrastruttura militare e la conseguente debolezza della leadership iraniana potrebbero avviare un processo di instabilità che potrebbe sfociare in rivolte popolari. Il primo ministro ha parlato direttamente al popolo iraniano, suggerendo che mentre si raggiungono gli obiettivi, si sta anche creando la possibilità per gli iraniani di ottenere la libertà.
Questo implica che Israele non si limita a voler indebolire le capacità belliche dell’Iran. Le possibili evoluzioni future possono essere molteplici e complessivamente INQUIETANTI.
Rimanere in piedi senza crollare
Le operazioni israeliane potrebbero infliggere danni devastanti all’Iran, senza però causarne il crollo. Sebbene le offensive abbiano severamente compromesso le capacità militari, si dimostrano inefficaci nell’intaccare nel profondo il programma nucleare, poiché i siti più cruciali sono nascosti in laboratori sotterranei inaccessibili ai bombardamenti.
Israele potrebbe riuscire a infliggere colpi significativi all’Iran, garantendosi una sicurezza temporanea dalla minaccia, ma non potrebbe eliminare definitivamente il problema.
Aspettative di un cambiamento di regime
È quindi plausibile che Israele miri a un regime change, un obiettivo molto più complesso che richiederebbe una campagna di bombardamenti ben più devastante, mirando non solo alle strutture militari ma anche ad altre infrastrutture critiche.
Se ciò dovesse avvenire, la leadership iraniana potrebbe risultare così indebolita da non riuscire a mantenere il controllo, specialmente se dovessero emergere disordini popolari come spera Netanyahu. Tuttavia, non è scontato che queste rivolte scoppino, date le dure repressioni che hanno caratterizzato il regime in passato.
Contestualmente, un eventuale crollo del regime potrebbe generare un vuoto di potere in un contesto già complesso come quello iraniano. La forza dei Guardiani della Rivoluzione, ad esempio, è legata al regime stesso e il loro indebolimento potrebbe portarli a una posizione di vulnerabilità.
L’espansione del conflitto nella regione
È fondamentale considerare che l’Iran conserva ancora un arsenale considerevole, comprendente oltre 2.000 missili balistici e droni. Potrebbe rispondere ai bombardamenti israeliani, infliggendo danni a Israele e anche attaccando punti strategici statunitensi in Medio Oriente, dove l’Iran ha alleati tra le milizie sciite. Questa situazione ha già determinato la chiusura delle ambasciate israeliane in tutto il mondo per precauzione.
Secondo fonti militari, l’Iran si prepara a spostare il conflitto verso “tutti i territori occupati dal regime”, inclusi gli avamposti americani, avvertendo di possibili ritorsioni contro i loro interessi nella regione. La tensione è palpabile e il rischio di escalation è alto.
Coinvolgimento degli Stati Uniti
Se si verificassero attacchi contro obiettivi americani, la reazione degli Stati Uniti sarebbe inevitabile. Ciò potrebbe creare seri problemi politici per la Presidenza di Donald Trump, che ha cercato di mantenere una posizione isolazionista, promettendo di allontanare gli Stati Uniti da conflitti esterni.