“Quasi un anno di stipendio per un’utilitaria”: i docenti italiani sono tra i più poveri (e precari) d’Europa

22.01.2025
"Quasi un anno di stipendio per un'utilitaria": i docenti italiani sono tra i più poveri (e precari) d'Europa
"Quasi un anno di stipendio per un'utilitaria": i docenti italiani sono tra i più poveri (e precari) d'Europa

È quanto emerge da un incontro della Flc Cgil a Roma sul mondo della scuola e della ricerca. Un quadro caratterizzato da pochissime luci e moltissime ombre. Dalla precarietà ai bassi salari, dagli scarsi investimenti alla spinta alla privatizzazione: così il definanziamento della scuola italiana condanna al declino anche il mondo del lavoro

Una categoria di lavoratori dequalificata, precaria, con stipendi inadeguati e scarse prospettive. È il ritratto impietoso dei docenti e dei ricercatori italiani tratteggiato dal sindacato Flc Cgil (la federazione dei lavoratori della conoscenza) nell’incontro che si è svolto oggi a Roma, martedì 21 gennaio, intitolato non a caso “Il futuro comincia ogni mattina alle 8”. Today.it lo ha seguito intervistando il segretario generale della Cgil Maurizio Landini e la segretaria della Flc Cgil, Gianna Fracassi. 

L’esercito di precari e ricercatori che tiene insieme la scuola e l’università italiana 

“Lo Stato è il peggior datore di lavoro: non solo precarizza insegnanti e ricercatori e taglia quasi seimila posti, ma per il secondo anno consecutivo il governo Meloni può arrogarsi il record del più alto numero di precari nella scuola. La strada è chiara: si va verso la privatizzazione e il ritorno a un modello di scuola nostalgico, forse anteriore a quello gentiliano” incalza Gianna Fracassi, segretaria nazionale della Flc Cgil. 

L’evidenza è infatti che la scuola italiana si regga su un precariato sempre crescente. Una pratica per cui l’Italia è stata già deferita a livello europeo, ma che tocca ancora nuovi picchi. L’anno scolastico 2023/2024 si è chiuso con un record di contratti a tempo determinato: 250.000 tra personale docente e Ata (i collaboratori scolastici). Oggi un lavoratore della scuola su quattro è precario: un esercito di donne e uomini privi di diritti e tutele, senza i quali la stragrande maggioranza degli istituti scolastici chiuderebbe i battenti anche domani. Tra i docenti oltre 55mila sono i precari su posti comuni e più di 130mila sul sostegno.

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Il numero di precari nella scuola (Dati Flc Cgil)

Per loro sono stati banditi dei concorsi con i fondi del Pnrr, ma le modalità del loro svolgimento sono state spesso contestate, come avevamo raccontato in questo approfondimento. Tutti i docenti sono inoltre stati obbligati a partecipare ai nuovi corsi promossi dalle università (in larga parte private), per ottenere ulteriori nuovi crediti formativi. Un salasso per una categoria scarsamente tutelata che va, spesso e volentieri, a incrementare gli utili delle tante università private telematiche. 

Intervistata da Today.it, Gianna Fracassi, segretaria della Flc Cgil osserva: “Sono percorsi che scaricano tutti i costi sui lavoratori: tra l’altro molte di questi interventi sono stati gestiti da università telematiche e su questo aprirei una riflessione. Non è plausibile che i precari paghino per formarsi. Su questo siamo nostalgici, pensiamo ci debba pensare lo Stato”. 

Ma la precarietà si fa sentire anche nel comparto universitario. Qui i ricercatori precari sono aumentati del 60% dal 2019, toccando la cifra record di 29830 nel 2024. Un sistema che sconta anche il taglio del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (Ffo), pari, di fatto, a quasi mezzo miliardo di euro, e una riforma che sembra puntare maggiormente sulla precarietà. 

Landini: “Il prezzo del taglio dei finanziamenti in formazione è altissimo” 

Ma a fare le spese dei tagli non sono solo i lavoratori e gli studenti. I dati sulla produttività italiana, in calo da trent’anni, e sull’occupazione, parlano chiaro. Così come quella sulla fuga dei nostri giovani più formati all’estero. Ad aumentare è il lavoro a scarso valore aggiunto, con un Paese che sembra ormai molto lontano dallo status di potenza industriale che aveva caratterizzato il suo passato. E, come osserva Maurizio Landini, questa variabile influenza anche il sistema paese nel suo complesso. 


“Siamo un Paese che ha ridotto gli investimenti in scuola e ricerca e questo significa anche smettere di investire in processi di innovazione. Quando si dice che è calata la produttività non stiamo dicendo che in Italia si lavora meno: anzi da noi si lavora di più che altrove. Quello che è più basso è il valore aggiunto dei prodotti che si realizzano, perché l’innovazione è inferiore che altrove. E quello che si fa finta di non vedere è la fuga dei tanti giovani formati che emigrano. Non ha futuro un Paese che offre precarietà e sfruttamento” sottolinea il segretario generale della Cgil intervistato dai microfoni di Today.it

Al segretario della Cgil non piace la traiettoria che l’Italia sembra aver preso: “Il diritto alla formazione e alla conoscenza deve essere garantito a tutti, non solo ai giovani, tramite la scuola pubblica. In realtà stiamo assistendo alla privatizzazione di questi servizi e a una sempre più forte precarizzazione, fuori e dentro la scuola pubblica”.

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L’incontro su scuola e ricerca organizzato dalla Cgil il 21 gennaio a Roma con la presenza del segretario generale Maurizio Landini

E se il problema più sentito rimane quello della spesa pubblica, la ricetta di Landini è di sostanza e chiama in causa direttamente l’esecutivo e il patto di stabilità siglato da Giorgetti: “Siamo di fronte a una legge finanziaria sbagliata, ma anche a una scelta che vincola per i prossimi 7 anni il nostro Paese. Noi da tempo, quando ci chiedono dove prendere i soldi, gli diciamo di andarli a prendere dove sono. Ma, non possiamo non notare, che ci si è impegnati per i prossimi 7 anni con l’Europa a non aumentare la spesa pubblica dell’1,5%. Ciò significa che potrebbe essere addirittura inferiore al tasso di inflazione – incalza Landini.  Che aggiunge: – In questi anni si è assistito a un aumento dei profitti come non mai, mentre è aumentata la tassazione sul lavoro dipendente. Parallelamente si sono fatti dei condoni e non si sono toccati né i grandi patrimoni né le rendite: queste sono scelte politiche”. 

Così per comprare un’utilitaria a un insegnante serve un anno di stipendio

Ma anche quando parliamo di assunti, le risorse messe in campo per gli stipendi di docenti e personale scolastico sono tra le più basse d’Europa. E scuola e università continuano a essere visti come comparti dove risparmiare, piuttosto che volani di crescita e sviluppo da rilanciare. A confermarlo sono i dati. 

Con la legge di bilancio 2024, il Governo aveva previsto un incremento contrattuale del 5,78% per il triennio 2022-2024  nel settore “istruzione e ricerca”. Tuttavia, la finanziaria 2025 ha aggiunto soltanto uno 0,22% alle risorse già stanziate, portando l’aumento complessivo degli stipendi al 6%, pari a una media di 145 euro lordi mensili.

Un incremento che risulta ampiamente insufficiente rispetto all’inflazione reale registrata nel triennio 2022-2024, che ha superato il 17%. In termini concreti, ciò si traduce in una perdita di oltre 11 punti percentuali del potere d’acquisto per il personale scolastico. Per gli insegnanti di medie e superiori questa cifra ammonta a più di 400 euro. Semplificando: servirebbero oltre 400 euro di aumento per rimanere al passo con l’inflazione. 

Del resto le retribuzioni del personale del comparto “Istruzione e Ricerca” (che comprende scuola, università e ricerca) sono tra le più basse di tutta la pubblica amministrazione. Gli stipendi del comparto “Istruzione” sono complessivamente inferiori di 6.900 euro (-19,7%) rispetto alla media retributiva complessiva di tutti i lavoratori  pubblici. E a far impallidire  è il raffronto con l’estero. 

Un docente di scuola media, con almeno 15 anni di servizio, guadagna circa cinquemila euro l’anno in meno di un suo omologo francese e più di 40mila euro in meno di un insegnante tedesco. E i salari si trasformano presto in soldi necessari per beni di prima necessità o per pagare le spese per una casa.

Se nel 2019 circa il 38% dello stipendio di un docente di scuola media veniva utilizzato per pagare l’affitto, oggi lo è il 54%. Nel caso di un collaboratore scolastico questa percentuale sale all’80% del salario. Non solo: se nel 2010 bastavano poco più di cinque stipendi di un docente di scuola media per acquistare un’ utilitaria, come una Fiat Panda, oggi ne servono quasi nove. 

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Il numero di stipendi necessari per l’acquisto di un’utilitaria come una Fiat Panda (Dati Flc Cgil)

Dati che fanno riflettere, e che si intrecciano con le altre grandi crisi, demografiche, sociali e industriali. E che attraversano un Paese sempre più sfiduciato, che sembra aver rinunciato a investire nel suo futuro. A partire da quello della sua scuola e dei suoi studenti. 

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