Rider e taxi: cosa cambia per i lavoratori delle app con la prima legge Ue anti-algoritmi

29.04.2024
Rider e taxi: cosa cambia per i lavoratori delle app con la prima legge Ue anti-algoritmi
Rider e taxi: cosa cambia per i lavoratori delle app con la prima legge Ue anti-algoritmi

Via libera definitivo del Parlamento europeo. Stretta sulle false partita Iva e divieto di licenziamento sulla base di elaborazioni informatiche (e senza la supervisione umana)

Via libera definitivo del Parlamento europeo alla prima legge Ue che tutela i lavoratori delle piattaforme, dai rider ai grafici, passando dai commercialisti e dai servizi di pulizia. Ci sono anche i tassisti di app come Uber per esempio, ma non il settore dei taxi tradizionali, che è stato escluso grazie alle pressioni anche dell’Italia. 

Le nuove regole, che secondo le stime di Bruxelles dovrebbero riguardare 43 milioni di lavoratori entro il 2025, mirano a contrastare il fenomeno delle false partite Iva. Secondo diverse stime, citate dalla stessa Commissione Ue, oggi i finti autonomi sarebbero 5,5 milioni sui 28 milioni di occupati totali nel settore nel 2022. Chi fa appello alla giustizia per far riconoscere il proprio status reale e i diritti connessi, si scontra spesso con normative poco chiare. Da qui, la necessità di fissare norme e criteri validi per tutta l’Europa. La nuova legge, tra le altre cose, regola per la prima volta in assoluto nell’Ue, l’uso di algoritmi sul posto di lavoro.

Stop alle false partite Iva

Proprio su questo punto, l’iter della direttiva si era arenato per via dell’opposizione di alcuni governi, in particolare quello francese. La Commissione europea aveva proposto una serie di criteri validi per tutti i Paesi Ue in base ai quali è possibile stabilire se un lavoratore è dipendente o meno. L’ultima versione del testo prevedeva 5 criteri (dai limiti massimi sulla quantità di denaro che i lavoratori possono ricevere, alle restrizioni alla libertà di organizzare il lavoro e norme su aspetto o comportamento). Se almeno due di questi criteri erano soddisfatti, allora il rapporto lavorativo poteva essere classificato come subordinato.

Le pressioni di Francia e Germania hanno eliminato questi criteri fissi: saranno i singoli Stati a stabilire i propri criteri sulla base della “normativa nazionale” e dei “contratti collettivi vigenti”. Chiaramente, le scelte dei Paesi devono essere in linea con la “giurisprudenza della Corte di giustizia europea”, spiega in una nota il Parlamento Ue.

Al termine dei negoziati finali, resta però immutato il principio della “presunzione legale”: i governi dei 27 Stati Ue dovranno “stabilire una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale, con l’obiettivo di correggere lo squilibrio di potere tra la piattaforma e la persona che svolge il lavoro tramite piattaforma”. Se un contratto viene qualificato dalle autorità nazionali come subordinato (o se il lavoratore fa ricorso), spetterà all’azienda l’onere della prova, ossia di dimostrare che il rapporto contrattuale non è da lavoratore dipendente. 

Algoritmi

La direttiva non si ferma ai contratti, ma affronta anche la questione degli algoritmi usati dalle piattaforme per monitorare i lavoratori e compiere delle scelte sul loro utilizzo. Le nuove norme obbligano le aziende a prevedere una “supervisione umana dei sistemi automatizzati per garantirne la conformità alle condizioni di lavoro” e danno ai lavoratori “il diritto di contestare le decisioni automatizzate, come la chiusura o la sospensione degli account”. In altre parole un rider non potrà essere licenziato sulla base di valutazioni ‘emesse’ dagli algoritmi.

Inoltre, le piattaforme non potranno trattare dati sullo stato emotivo o psicologico di qualcuno o utilizzare strumenti di intelligenza artificiale per prevedere, ad esempio, se i lavoratori intendono aderire a un sindacato o scioperare. Le persone che lavorano attraverso le piattaforme manterranno il diritto di trasferire i propri dati da una piattaforma all’altra, garantendo la portabilità dei dati e la possibilità di spostarsi senza problemi tra le piattaforme.

Fonte: LaStampa

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