
«La pace sia con tutti voi!». Con queste parole, pronunciate con un tono commosso ma fermo, Robert Francis Prevost ha salutato i fedeli riuniti in piazza San Pietro dopo la sua elezione al soglio pontificio, assumendo il nome di Leone XIV. È il primo Papa statunitense nella storia della Chiesa cattolica, scelto al termine di un conclave che, dopo una prima fumata nera, ha visto prevalere il suo nome alla quarta votazione.
I 133 cardinali elettori, rimasti chiusi nella Cappella Sistina per oltre tre ore prima di comunicare l’esito negativo del primo scrutinio, hanno trovato l’accordo solo con il ritiro dell’ex segretario di Stato Pietro Parolin, che ha ceduto il suo blocco di voti a Prevost, sbloccando così una situazione di stallo. Un passaggio cruciale, che ha permesso all’americano – pur iscritto nelle liste del Partito Repubblicano ma lontano dalle posizioni di Donald Trump – di raggiungere la maggioranza necessaria.
La sua elezione segna una linea di continuità con il pontificato di Francesco, almeno sul piano dottrinale, pur presentando differenze significative nello stile e nei simboli. Prevost, che non ha mai preso effettivo possesso della diocesi suburbicaria di Albano nonostante la nomina cardinalizia, è una figura ben radicata nel panorama ecclesiale italiano grazie alla sua profonda devozione mariana e agli studi agostiniani.
La sua storia personale è intrecciata con Roma, dove ha trascorso più di dodici anni, prima come studente di Diritto Canonico all’Angelicum – come ricorda padre Angelo Di Berardino, ancora emozionato – e poi come priore generale degli Agostiniani. Un legame che si è consolidato negli anni Ottanta, quando, ventisettenne, fu inviato nella Capitale dall’Ordine per specializzarsi. Non mancano, tra i dettagli che lo avvicinano alla città, la passione per la Roma e le frequenti cene nella pizzeria del suo quartiere, elementi che lo hanno reso una figura familiare tra chi lo conosce da tempo.