Cantare “Bella ciao” a Kobane: così torna a vivere il popolo tradito da tutti

19.08.2024
Cantare "Bella ciao" a Kobane: così torna a vivere il popolo tradito da tutti
Cantare "Bella ciao" a Kobane: così torna a vivere il popolo tradito da tutti

I curdi del Rojava hanno salvato l’Europa dall’Isis. Ma Turchia e Iran continuano ad attaccarli. Nelle città circondate dalla guerra dimenticata si investe su scuole e produzioni di serie Tv. Il libraio Hasan: “Un’arma in mano a chi non legge è destinata a incepparsi”

“Ho passato gran parte della mia vita lavorando per una compagnia petrolifera – racconta Hasan -. Ora ho potuto realizzare il mio sogno: aprire una libreria. La cosa più bella sono le persone che tornano per ringraziare di aver dato loro un bel libro. È la più grande soddisfazione si possa avere da questo mestiere. I libri hanno il potere di far emergere sentimenti, sensibilità, ragioni. Forse per questo, nonostante tutti i tentativi di chi ci vuole male, non ci potranno sconfiggere mai. Un’arma in mano a chi non legge è destinata a incepparsi, prima o poi. Ma noi curdi leggiamo tanto”.

Sulla settantina, Hasan è seduto sommerso tra i libri nella sua libreria di Derik. “I libri sono l’arma più potente che c’è”, dice tradendo il tipico orgoglio curdo. In Rojava da dieci anni si vive in guerra. Dopo aver respinto l’Isis ora è la Turchia l’insidia più grande, anche se da qualche giorno ha cominciato ad affacciarsi minaccioso anche l’Iran che ha provato alcune sortite a Derezor, sulla sponda orientale del fiume Eufrate. Un punto strategico, nel più ampio conflitto tra le potenze regionali e le forze locali guidate dai curdi in Siria.

In viaggio nel Rojava con il drone turco sulla testa

Gli attacchi iraniani sono stati respinti, ma rimane un preoccupante segnale. L’esperienza del Rojava è percepita come un grande pericolo all’esterno. Proprio in Iran sono state le donne curde a cominciare la protesta contro l’obbligo di indossare l’hijab. Per questo le iraniane scandiscono lo slogan “donne, vita e libertà”, coniato dal leader del Pkk, Abdullah Ocalan, detenuto in isolamento da 25 anni in Turchia.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, anche in questo agosto 2024 attacca quotidianamente in Rojava e Nord Iraq. Nel cantone di Afrin usa forze speciali e mercenari, che non hanno più l’Isis che li tiene a libro paga. Con i droni causa morti e feriti gravi. Sono così silenziosi che mentre da vicino si osserva come è ridotta un’auto colpita da un razzo, sparato proprio da un drone, non ci si rende neppure conto di averne uno sopra la testa. Non si sentono, non si vedono, ma possono essere letali se non sono impegnati a scattare foto ricordo.

E i cecchini di Erdogan continuano a uccidere

A Kobane, città simbolo della resistenza all’Isis, negli ultimi sei mesi sono stati uccisi tre soldati curdi che viaggiavano in un’auto, un agricoltore che era intento a lavorare la terra e alcuni civili scambiati per chi lo sa chi. Una delle leader del movimento Sara, l’organizzazione che combatte contro la violenza di genere, è rimasta gravemente ferita mentre viaggiava in auto col marito, che ha avuto le stesse conseguenze. In febbraio era stata la volta della comandante Sorxwîn Rojhilat. Anche lei uccisa con un drone.

I curdi e coloro che hanno raccolto la sfida di piantare in questa regione il seme della democrazia, della partecipazione, della parità e della libertà, non hanno puntato solo alle armi per difendersi. I libri, la cultura, l’arte sono un elemento essenziale per tutelare il passato e costruire il futuro. E lo sono la produzione di video musicali e prodotti per il cinema, perché si sta al passo coi tempi. Abbiamo avuto modo di visitare sei case di produzione in diverse città di questa regione assediata.

Registi e attori al lavoro, per non dimenticare la guerra

Ad Amuda sono presenti quelli della Komina Film. Grazie al contributo della casa indipendente italiana ZaLab e del Tpo di Bologna stanno ricostruendo il cinema della città. Il grosso delle produzioni finisce sia sul canale satellitare Rudaw, che è seguito dai curdi di tutto il mondo, o su quelli YouTube di collettivi e altre case di produzione. Non stiamo parlando di cinema amatoriale, tutt’altro. La qualità di queste produzioni non ha nulla a che invidiare a molte di quelle che vediamo passare su Netflix.

Quelli di Hunergeha Welat sono dei veri e propri studios, moderni e attrezzati all’interno di una grandissima struttura. Ci sono i set, studi per registrare musica e audio, sale montaggio e tutto quel che si può immaginare possa servire per fare un film. Mahmud Berazî è un famoso compositore di testi e musiche. Molto popolare tra i curdi di tutto il mondo proprio per le sue canzoni, ci spiega il ruolo del cinema rispetto a quanto sta accadendo in Rojava. “Serve per raccontare la nostra storia di oggi soprattutto. Chi meglio di noi può farlo. È un momento d’oro per il cinema in Rojava. La gente ha voglia di distrarsi ma ha anche voglia di conoscere la nostra realtà, di veder rappresentate le nostre storie. Le fiction, le serie, servono anche a far arrivare a più persone possibili sia la nostra idea di società che la situazione in cui viviamo. Guarda dove siamo, sembra di essere ovunque, ma non in un posto dove c’è la guerra”, fa notare versandoci del tè in uno scenario che fa pensare a tutto fuorché a bombe e droni.

L’investimento su scuola e accademie: così nascono i talenti

Spostandoci di circa 250 km, dal cantone di Hassake a quello di Derik, incontriamo Osman Kurtelan. Anche lui molto popolare, regista e attore assolutamente poliedrico. In una serie interpreta un politico ostile ai curdi in Turchia, in un’altra veste uno dei personaggi comici più apprezzati, Aziz. “Un bambino curdo crescendo riceve dagli adulti quel grande patrimonio che è la nostra storia. E mentre questo accade, la nostra stessa storia si evolve. Se prima usavamo la parola, le canzoni, il teatro, oggi puntiamo anche sul linguaggio visivo, più adatto ai nostri tempi. Nulla è più politico dell’arte”, ci dice.

Ed è in questo contesto che i ragazzini e le ragazzine che qui abitano hanno opportunità inimmaginabili. Le scuole non solo funzionano, ma hanno sedi molto accoglienti e funzionali. L’evasione scolastica è un fenomeno sconosciuto in Rojava, mentre in Siria è una piaga. Non ci sono solo le scuole, ma anche i centri culturali, le cosiddette accademie, che permettono, negli orari in cui non c’è scuola o durante le vacanze, di praticare tantissime attività. Un esempio tangibile di cosa si fa nelle accademie lo si vede appena si entra o si percorrono corridoi o scale. Ci sono quadri e dipinti lungo tutte le pareti, opere dei giovanissimi che frequentano questi centri.

Le città rinate, dove è obbligatorio cantare e ballare

Entrando si sente sempre cantare e suonare. È difficile trovare qualcuno in questa regione che non sappia maneggiare uno strumento. Il tambur, una sorta chitarra a quattro corde, è quello più suonato. La cultura curda, quando dopo la prima guerra mondiale il Kurdistan è stato fatto letteralmente a pezzi, è stata bandita nei quattro Paesi che se lo sono spartito. È vietato ancora oggi, in Iran e in Turchia, parlare o scrivere in curdo. Per questo lingua e musica sono importanti.

Ci sono canzoni centenarie che hanno cambiato vestito mille volte, arrangiate dagli artisti ognuno come ha voluto. C’è però anche tanto di produzione recente. Nel repertorio delle canzoni non manca mai “Bella Ciao” che per i curdi rappresenta quello che è, un inno universale alla libertà. La cantano sia in curdo che in un italiano tutto loro. Chi non canta recita o balla. Ma poi ci si dà il cambio.

Ma su Kobane i soldati turchi sparano ancora

Non c’è un’accademia e neppure scuola che non abbiano un campo da calcio e da pallavolo all’esterno. Queste attività, sia scolastiche che extra sono garantite anche ai tantissimi minori rimasti senza famiglia. Gli orfanotrofi sono organizzati per non far mancare loro ciò di cui hanno bisogno per la loro crescita. Tra i meglio organizzati ci sono quello di Raqqa e quello di Kobane, due delle città più segnate da questi anni di guerra. Se a Raqqa i più piccoli si approcciano alla musica suonando il blūr, una specie di flauto che è lo strumento tradizionale dei pastori che da sempre si muovono in questa zona, a Kobane è il tambur lo strumento più ambito.

Dalla parte opposta di dove si trovano le scuole, l’accademia e l’orfanotrofio, ecco il municipio di Kobane. Guarda proprio al confine turco. È da lì che i soldati di Erdogan sparano verso questo edificio, crivellato di colpi di grosso calibro. Ce ne sono anche di molto recenti. “La Tuchia attacca le infrastrutture, impedisce l’arrivo dell’acqua del Tigri chiudendo le dighe e mettendo in difficoltà città come Hassakah, compie omicidi mirati con i droni, colpisce nel cantone di Afrin da ormai sette anni uccidendo civili e non c’è nessuno che dice nulla. Come mai? Una volta c’era la fila di giornalisti che voleva raccontare la nostra storia. Non interessa più sapere come prosegue e cosa ci succede? Dov’è la comunità internazionale”. Rewşen Ebdî, cosindaca di Kobane, ci lascia con questa domanda.

Lascia un commento

Your email address will not be published.