Dopo dieci anni di occupazione e mille giorni di guerra nelle strade di Kiev c’è stanchezza mentre i droni russi bersagliano la città che si prepara all’ennesimo inverno sotto i bombardamenti di Mosca. Annunciata una nuova mobilitazione di 160mila uomini di fronte all’accelerazione dell’avanzata russa
Nel giugno 2022 un gruppo di familiari di soldati del reggimento Azov piantarono in un’aiuola di Maidan cinquantacinque bandierine gialle e blu, una per ogni militare scomparso. Un tributo spontaneo in un luogo carico di significati per il popolo ucraino. Oggi quelle bandiere sono diventate migliaia. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, questa marea continua ad allargarsi. Quasi mille giorni di morte e distruzione portati dalla Russia che, da quasi un anno, ha ripreso l’iniziativa arrivando nell’ultimo mese a conquistare 478 chilometri quadrati di territorio, il più ampio guadagno territoriale dalle prime settimane del conflitto. Le truppe ucraine sono ostacolate dalla mancanza di uomini e attrezzature. Per questo, Kiev mobiliterà almeno 160.000 soldati aggiuntivi per ricostituire le file dell’esercito. Una situazione che ha creato più di qualche malcontento.
Un uomo in divisa acquista tre bandierine azzurre e gialle dal banchetto di una donna e le appoggia con cura sul piano di marmo che delimita l’ingresso della metropolitana; estrae un pennarello nero dal taschino e scrive nomi e date. I suoi compagni che non ce l’hanno fatta. Nel prato ci sono anche altre bandiere: vessilli inglesi, americani, francesi e di altri paesi che si vanno a perdere in questa distesa color dell’Ucraina. Qui, come nei cimiteri, è continuo il passaggio di persone che vengono a rendere omaggio ai caduti. Famiglie, commilitoni, donne con gli occhi gonfi, esausti dalle troppe lacrime versate.
Compare un furgone nero, seguito da un pullman e da altre auto con le bandiere tenute alte, garrite dal vento. Il corteo funebre di un soldato. Così d’improvviso i passanti e il traffico stesso si congelano, diventano un tutt’uno con esso, immobili.
Dieci anni di occupazione
“Finirà mai questa guerra?” si chiede Katia, giornalista ucraina che ha vissuto in Italia, mentre racconta la sua vita davanti a un borscht fumante, che si raffredda mano a mano che il suo raccontarsi diventa un fiume in piena lasciando in secondo piano il suo appetito. “Io non so dopo dieci anni di occupazione in quelle terre del Donbass cosa possano capire le persone di questo conflitto. Sono ostaggio della propaganda di Mosca e non riesco a immaginare come le nuove generazioni possano essere cresciute sotto di essa”.
Due soldati della Legione internazionale stanno strappando i fili d’erba cresciuti davanti alla foto di un loro compagno ucciso in combattimento. Uno dei due viene dallo Sri Lanka. Ha un braccio ingessato. L’altro è neozelandese. Dietro di loro, il traffico di Kyiv che sembra scorrere ignaro della tragedia che si consuma a poche centinaia di chilometri da questa città pulsante di vita. Ma è solo un’illusione. Un momento di pausa. Tutto ricomincia da capo quando arrivano i droni russi e il sangue si gela nel sentire in avvicinamento il loro rumore di morte, smorzato solo dalle esplosioni della contraerea.
Da qualche giorno gli allarmi non suonano nella capitale ucraina: tanti locali e negozi hanno iniziato a tirare fuori gli addobbi per Halloween. Zucche, streghe, ragni, scope e ragnatele. Nei supermercati si vendono maschere e costumi. Sarà tutto normale fino al prossimo attacco aereo.
Un futuro incerto per Kyiv
Yaroslav Denysenko è un campione paralimpico di nuoto. Ha vinto tre medaglie agli ultimi giochi di Parigi. “La mia medaglia preferita, quella di bronzo alla staffetta, l’ho donata per una raccolta fondi per acquistare droni per l’esercito. È difficile pensare al futuro dell’Ucraina perché so che qui ogni giorno posso morire. Ma spero che vinceremo questa guerra. E spero che la Russia non metterà in pericolo le future generazioni di questo paese”.
Da Kyiv, andando nell’est del paese, a Kharkiv, sono quasi 500 chilometri eppure il sentimento più diffuso, oltre alla stanchezza per un conflitto che sembra diventare infinito, è una mancanza di fiducia, più che motivata, nei confronti della Russia. “Il punto è che anche se apriremo un tavolo di trattative con Mosca, come sarà possibile credere loro senza avere delle garanzie? E chi garantirà il rispetto di questi accordi?” dice Andrii, di professione artigiano, in un pub del centro. Racconta che non prende mai la metropolitana perché ha paura di essere fermato per un controllo e finire nelle liste dei mobilitati. “Anche se ho una invalidità a una gamba per un incidente, di questi tempi non si sa mai”.