L’11enne, insieme all’associazione Genitori tarantini, ha presentato un ricorso al Tribunale di Milano chiedendo lo stop dell’acciaieria. Secondo i giudici di Lussemburgo, le autorizzazioni all’impianto concesse dal governo italiano violano le norme europee: “Non tengono conto del danno sanitario”
Le attività dell’ex Ilva di Taranto vanno sospese perché, a dispetto di quanto sostiene il governo italiano, le autorizzazioni concesse finora non hanno tenuto conto del danno sanitario provocato dall’acciaieria. È questo, in sintesi, quanto chiede la Corte dei giustizia dell’Unione europea che in una sentenza emessa martedì (25 giugno) ha di fatto accolto l’azione legale promossa dall’associazione Genitori tarantini e da un bambino di 11 anni affetto da una rara malattia genetica.
Assistita dagli avvocati Ascanio Amenduni e Maurizio Rizzo Striano, l’associazione aveva avviato nel 2021 un’azione inibitoria presso il Tribunale delle imprese di Milano, in cui si contestano le proroghe concesse negli anni allo stabilimento per proseguire le sue attività senza dar seguito alle cosiddette “prescrizioni” ambientali, ossia a lavori di adeguamento dell’impianto necessari per ridurre l’inquinamento e l’impatto sanitario sulla popolazione. La richiesta di Genitori tarantini è innanzitutto la “cessazione delle attività dell’area a caldo” dell’ex Ilva, la “chiusura delle cokerie, l’interruzione dell’attività dell’area a caldo fino all’attuazione delle prescrizioni” dell’Aia e la “predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento delle emissioni di gas serra di almeno il 50%”.
Il Tribunale di Milano, nel settembre 2022, aveva dato seguito all’azione dell’ong, al contrario di quanto richiesto dai legali dell’ex Ilva. Ma prima di avviare la sospensione delle attività dell’acciaieria aveva trasmesso le carte alla Corte Ue per verificare se, nel rilascio delle autorizzazioni all’impianto (per la precisione l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale), l’Italia abbia rispettato la direttiva europea sulle emissioni inquinanti degli impianti industriali.
La risposta dei giudici di Lussemburgo è una sonora bocciatura delle tesi sostenute finora dall’azienda e dal governo italiano. Dopo aver ricordato che “nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo (tribunale che non fa parte dell’Ue, ndr) ha accertato che l’acciaieria provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona”, la Corte Ue ha spiegato che nel rilascio e nel riesame dell’Aia (che vengono fatti dal ministero dell’Ambiente) bisogna tenere conto del danno sanitario, cosa che a oggi non è avvenuta. “Mentre, secondo il governo italiano”, scrive la Corte in una nota, la legge Ue “non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario”, i giudici europei rilevano al contrario “che la nozione di inquinamento” ai sensi di tale legge “include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana. Pertanto, la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria Ilva su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame” dell’Aia.
Ma la Corte Ue non si ferma qui: secondo i giudici di Lussemburgo, e “contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano”, le autorizzazioni del governo non possono “limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti” che a oggi non sono state considerate nella valutazioni del ministero.
Per tutte queste ragioni, l’ex Ilva “deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione” alle norme Ue. “In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso”, conclude la Corte.
Adesso la palla torna al Tribunale di Milano. Per Genitori tarantini si tratta di una prima, importante vittoria nella battaglia per combattere l’inquinamento legato all’acciaieria. L’associazione ha presentato anche una class action per chiedere un risarcimento all’ex Ilva per i danni arrecati alla salute della popolazione.