Il pagellone della politica: Crosetto il tiradritto

19.04.2024
Il pagellone della politica: Crosetto il tiradritto
Il pagellone della politica: Crosetto il tiradritto

Il ministro della Difesa non ha esitato a dire davanti a Meloni e Zelensky: «La controffensiva ucraina fallirà, i russi hanno troppi uomini e mezzi»

Immaginatevi la scena. Palazzo Chigi, 13 marzo dello scorso anno, vigilia della controffensiva ucraina. Fuori le telecamere del mondo. Dentro c’è Zelensky che incontra Giorgia Meloni. «Posso dire quello che penso?»: la domanda di Crosetto ha l’effetto di un lampo di terrore negli occhi di Giorgia Meloni. Eccolo, d’alto di un metro e novantotto di schiettezza: «Penso che la controffensiva ucraina non possa riuscire, perché i russi hanno più uomini, più bombe, più aerei, hanno minato il fronte». Gelo, e mica è finita: «Se sbagliate strategia, rischiate di mettere in pericolo i territori che i russi non hanno ancora conquistato ed indebolirvi». E per non lasciare equivoci: «Se Putin avanza in Ucraina rischia di scoppiare la terza guerra mondiale, perché Baltici e Polonia non possono accettarlo».

Lungo inciso, prima di proseguire. L’uomo è fatto così: «Dico sempre quel che penso, perché è più facile e non temo di tornare ad un lavoro normale» è il suo mantra. Lo dice su tutto, pure sui giudici, quando li accusò, con piglio berlusconiano, di tramare contro il governo. E fu un putiferio. O su Vannacci: poteva affidare il caso agli uffici, con un algido comunicato, l’ha preso di petto. Pure sugli spioni, con ragione, andò a sporgere denuncia in prima persona alla procura di Roma. E da lì partì l’inchiesta di Cantone che ha scoperchiato il bubbone dossier. Menomale che si è dato un autocontrollo su twitter, dove spesso gli è partito qualche cinguettio di troppo.

Insomma, del democristiano, per quanto la sua formazione sia tale sin da quando frequentava Roma come allievo di Giovanni Goria non ha né il passo felpato né le parole oblique. Politicamente è moderato, di carattere no. Con Giorgia Meloni, fumantina pure lei, sembrano davvero Sandra e Raimondo: se litigano, vanno sopra le righe, non si parlano per giorni, staccano pure i telefoni, poi la chiudono in un minuto senza rancore. Accadde ad esempio ai tempi delle nomine quando lui non voleva Roberto Cingolani a Leonardo pur essendo un suo amico, ma pensava avesse scarsa esperienza nel settore. A un anno di distanza, invece, guai a chi glielo tocca.

Diciamo che è tra i pochi a poterselo permettere, forse perché non viene da Colle Oppio, non fa parte dell’inner circle pur essendo il fratello acquisito del “cognato” Lollobrigida e grande amico di Fazzolari. Anche con Berlusconi era di casa ad Arcore ed è rimasto tale dopo la separazione, senza lisciare il pelo a Dudù. Leggenda narra di quando il Cavaliere una volta gli disse: «Ti affido Forza Italia». Agli astanti, Fascina ed Angelucci, per poco non venne un coccolone. L’altro, conoscendo l’andazzo, glissò: «Non penso che tu sia in grado di farlo».

Neanche la scorta lo controlla. Si narra che li congedi il venerdì sera e, senza avvisare, se ne vada in giro il week end come un privato cittadino: cinema, centri commerciali, Mcdonald’s coi bambini. D’altro canto dice sempre: «Non voglio abituarmi alla parte estetica del potere e a cose cui dovrò rinunciare». Tecnicamente non è legale, ma inutile dirglielo. La verità è che non pensava di andare al governo, tanto che non si candidò al Parlamento. La Difesa l’avevano puntata Urso e Tajani e a lui non dispiaceva godersi un reddito milionario come imprenditore e senior advisor di Leonardo. Raccontano che tra i primi atti si ritrovò a dover autorizzare uno studio, proprio di Leonardo, per un nuovo elicottero. Costava 120 milioni, gliene liquidò meno di 3, anche per dare un segnale a chi parlava di conflitto di interessi: «Vi ho pagato i costi vivi, mica se vai da un concessionario paghi per vedere una macchina».

Lo chiamano “gigante buono”, in verità incarna una sostanziale continuità in uno di quei ministeri dove, prima del gioco politico, c’è da tutelare l’interesse nazionale. Come idee, su fondi e riforme, non si distanzia dai suoi predecessori, La Russa, Guerini e Pinotti, del cui libro bianco sta attuando alcuni punti: un dirigente civile potrà avere un ruolo apicale nel segretariato generale della Difesa (in Europa è così); varato il nuovo regolamento sui sindacati; aumentati gli investimenti.

Torniamo quindi a Zelensky. Se gli chiedi se l’Ucraina deve arrendersi ti fulmina con lo sguardo. Se gli chiedi se si è fatto abbastanza per una iniziativa di pace, pure. Furono il suo aereo e la sua scorta ad accompagnare Zuppi, per provare ad aprire un tavolo (ma andò male). Il cuore del ragionamento che fa in tutte le salse, a rischio di impopolarità, è che «non siamo pronti». Perché, in questo cambio di fase, «non si può garantire la sicurezza con le stesse regole, tempistiche, uomini di cinquant’anni fa». Da soli, come Europa, dopo aver appaltato la sicurezza per decenni agli Stati Uniti, non siamo in grado di reggere la sfida con i nemici che abbiamo alle porte: «Chiamatela sicurezza dice – non difesa, perché è il prerequisito della democrazia. Non puoi mettere in alternativa le armi agli asili, perché senza armi non ci sono nemmeno gli asili». Roba che in campagna elettorale non lo dice nessuno. Però è il cuore della questione. Se ci riflettete è drammatica perché, dentro questa battaglia culturale, c’è la denuncia delle nostre fragilità. Fa bene Nordio, quando è stanco, a presentarsi nel suo ufficio, sedersi con lui e bersi un prosecco. Un goccetto, con questo stress, aiuta.

Fonte: LaStampa

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