Gli attacchi russi su Kiev sono aumentati da quando si è paventata la fine del conflitto con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Chi incontriamo a Kiev guarda il cielo illuminato dai missili. Le condizioni per una trattativa sembrano lontane
Oleg ha nove anni. Sta tornando in Ucraina da una piccola vacanza – circa cinque giorni – durante i quali è stato ospite in Italia della fondazione Hope che ha permesso a lui e ad altri sei bambini e bambine di trascorrere del tempo spensierati tra il padovano e il Garda. Ma dopo una settimana in pace il ritorno a Kiev è nel segno della guerra.

Già lungo il percorso, usciti dalla Polonia e via Leopoli lungo l’autostrada che conduce alla capitale ucraina, si capisce che l’atmosfera è differente. I tanti camion senza targa incrociati e superati indicano che non sono esattamente merci quelle che trasportano, ma materiale bellico. Poi è il cielo a sancire che la pace è finita: quelle che brillano, per poi spegnersi, non sono stelle. Anche i bambini lo sanno, qui. Come sempre, quando si giunge di notte nella capitale ucraina, sono i suoni delle sirene e quelli dei bombardamenti ad accogliere chi arriva.
A proposito di bombe, guerra e bambini, l’estate scorsa la Russia è stata accusata di aver colpito il più grande ospedale per l’infanzia di tutta l’Ucraina, l’istituto Ohmatdyt di Kiev. Ospita seicento bambini, con patologie anche molto gravi. L’ospedale pediatrico è ben attrezzato ed è un punto di riferimento per tutto il Paese. Ospita minori provenienti da ogni Oblast. Ci sono poi, e sono tanti, quelli che nell’ospedale pediatrico vengono per sottoporsi a trattamenti e cure.

Lo scorso 8 luglio 2024 i bombardamenti sono stati particolarmente intensi e di quella giornata l’ospedale porta ancora segni tangibili. A distanza di mesi una palazzina è praticamente distrutta, i vetri degli edifici attorno sono coperti da tavole di legno. “Sono andati tutti in frantumi” ci racconta Daria che nell’ospedale ci lavora e che ci fa da guida tra le macerie.
La Russia si è difesa incolpando dell’incidente la contraerea ucraina. Kiev dal canto suo ha invece mostrato i resti del missile russo che ha colpito la struttura. Due le vittime. Una dipendente dell’ospedale che si stava sincerando che tutti i bambini presenti nell’edificio fossero stati portati nell’edificio. E un anziano che aveva accompagnato il nipote a fare delle cure e che non è riuscito a raggiungere uno dei luoghi attrezzati per le emergenze.
“So che sembra assurdo da dire in un contesto come quello in cui stiamo vivendo da ormai quasi tre anni, ma mai ci saremmo aspettati di essere bombardati. Qui non ci sono militari, ci sono solo bambini e il personale ospedaliero” ci racconta Daria mostrandoci il rifugio che le aveva salvato la vita. “Nessuno tra coloro che erano qui quel giorno lo potrà mai scordare. Le urla dei bambini, la paura. È stato tremendo”, ricorda Daria. Nonostante i danni l’ospedale aveva riaperto dopo una decina di giorni e oggi ha di fatto ripreso tutte le attività.
Più bombe su Kiev dopo l’elezione di Trump
Da quando si è cominciato a parlare della fine del conflitto dopo l’elezione di Donald Trump alle presidenziali americane, gli attacchi russi su Kiev sono aumentati. È uno dei motivi per cui qui in pochi prendono sul serio questa idea. E chi lo fa, chi affronta seriamente la discussione su questo argomento, ha sempre e solo come unico obiettivo quello di smontare questa tesi. “Ti sembra che ci siano le condizioni per una pace o per una trattativa?”, ci dice un imprenditore ucraino indicando ancora una volta il cielo. Brillano nella notte i missili colpiti dalla contraerea ucraina. Che però non sempre riescono a distruggere tutti i missili lanciati dalla Russia. L’uomo ha una sessantina d’anni e nel suo settore è un nome molto importante. Vedovo, la moglie è morta un anno prima dell’invasione russa per un male incurabile, oggi la sua attenzione è tutta per il figlio dodicenne.
“Rimanere senza la madre così piccolo, non è stato facile. Poi è arrivata la guerra che ha anche peggiorato le cose”. L’uomo ci racconta come ha affrontato questo lutto che è stato anche per lui devastante, glielo si legge negli occhi quando ne parla. “Era molto piccolo, aveva circa otto anni quando è successo. I mesi successivi ho cercato di stargli il più vicino possibile senza scordare che un bambino ha bisogno di giocare con i coetanei. Andare a scuola, fare sport, andare con me nei weekend a fare cose divertenti che lo potessero distrarre mi sembravano una buona medicina ma poi è scoppiata la guerra. Sono in tre anni che frequenta la scuola via zoom, da casa”.
“Sport non ne può fare. E, messo tra mille virgolette, stiamo parlando di un bambino che è fortunato a confronto di tanti altri suoi coetanei in questo Paese. Fortunato” ci ripete due volte per essere sicuri che abbiamo colto la contraddizione.
Quella notte gli attacchi dal cielo sono andati avanti fino alle tre e mezza. Poi una apparente calma. Ma quando sono da poco passate le sei si sentono due forti esplosioni. Poco dopo un bagliore in lontananza. Sotto le macerie causate da quell’esplosione rimangono sei persone. Due, si scoprirà, sono bambini. Alla faccia della pace.