Pensioni: la quota 41 con il taglio dell’assegno, per uscire prima dal lavoro

26.06.2024
Pensioni: la quota 41 con il taglio dell'assegno, per uscire prima dal lavoro
Pensioni: la quota 41 con il taglio dell'assegno, per uscire prima dal lavoro

In attesa della riforma che il governo Meloni vorrebbe portare a termine entro la fine della legislatura (tra tante incognite), spunta l’ipotesi di un’uscita anticipata con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Ma una versione “pura” di questo sistema è impossibile, perché costerebbe troppo. Con il ricalcolo contributivo gli assegni sarebbero più leggeri

Sulle pensioni i tempi si allungano e la beffa è dietro l’angolo. L’intenzione del governo Meloni sarebbe quella di una riforma strutturale da portare a termine entro la fine della legislatura, equiparando i vari sistemi di uscita anticipata e incentivando i giovani a scegliere sistemi pensionistici integrativi. La verità è che i soldi a disposizione sono pochi, come abbiamo spiegato qui, nel dettaglio. L’equilibrio dei conti pubblici obbliga l’esecutivo alla prudenza in materia previdenziale. Accantonata, per il momento, l’idea di una riforma organica delle pensioni cancellando la legge Fornero varata nel 2011-2012 dal governo Monti, oltre ad una proroga di quota 103 si ragiona allora su alcuni meccanismi meno onerosi, come la norma che consente di uscire dal lavoro al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Ma non in versione “integrale”.

Se venisse approvata, l’opzione offrirebbe la possibilità a migliaia di lavoratori di uscire prima dal lavoro, in deroga alla legge Fornero che ha fissato per la pensione di vecchiaia una soglia di 67 anni più 20 di contributi e per quella di anzianità i 42 anni di contributi. Con un ricalcolo contributivo, però, e un assegno che di conseguenza sarebbe più leggero. Ma andiamo con ordine, cercando di fare chiarezza.

Quota 41 ricalcolata con il metodo contributivo: cosa significa

È la cosiddetta quota 41, un’opzione di uscita anticipata che il governo Meloni potrebbe mettere sul tavolo nella prossima legge di bilancio. Questo ipotetico meccanismo non sarebbe tuttavia “puro”, perché costerebbe troppo, ma passerebbe dal ricalcolo, per tutti gli anni di lavoro, del trattamento con il metodo contributivo integrale, il sistema introdotto nel nostro Paese dopo il 1996. Come funziona questo meccanismo? Il sistema interamente contributivo determina l’importo della pensione in base alla quantità di contributi versati, anziché agli ultimi stipendi percepiti come avviene (o meglio, avveniva) con il sistema retributivo.

I costi per lo Stato

Ebbene: per le casse dello Stato, la versione “alternativa” di quota 41 sarebbe meno onerosa rispetto alla soluzione priva di correttivi, che solo per il 2025 costerebbe 4 miliardi di euro. Una volta a regime, quota 41 “pura” ammonterebbe invece a 9 miliardi di euro. Inattuabile, visti i costi e i vincoli di bilancio. Il punto di partenza resta l’ultimo Def (il documento di economia e finanza), nel quale è scritto nero su bianco che “per la spesa per le prestazioni sociali in denaro è atteso un aumento del 5,3% nel 2024 e del 2,5% in media all’anno nel triennio 2025-2027”. Ci si aspetta in particolare un aumento della spesa per le pensioni del 5,8% nel 2024 e del 2,9% in media nel successivo triennio.

La pensione tagliata

L’ipotesi di questo nuovo sistema per l’uscita anticipata dal lavoro – quota 41 ricalcolata con il metodo contributivo – avrebbe una logica conseguenza: un taglio dell’assegno. La pensione risulterebbe notevolmente inferiore, pari a circa il 15-20% in meno. L’idea di una nuova quota 41 con la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, ma con il solo calcolo contributivo in cambio di un assegno più basso del 15-20%, potrebbe interessare una platea di centomila persone.

Si può fare?

Oggi la possibilità di andare in pensione con quota 41 è già realtà per categorie specifiche di lavoratori precoci che a 19 anni avevano già accumulato 12 mesi di contributi. Occorre tuttavia soddisfare ulteriori requisiti, come l’appartenere a una delle categorie di lavoratori vulnerabili, che vanno dai disoccupati agli invalidi, passando per caregiver e lavoratori con mansioni gravose. Inoltre, bisogna avere almeno un contributo settimanale versato nel sistema retributivo (prima di gennaio 1996). Allo studio del governo, appunto, ci sarebbe una formula per estendere a tutti il meccanismo attualmente riservato ai lavoratori precoci, offrendo la possibilità di maturare i requisiti con 41 anni di contributi, invece dei 42 e 10 mesi per gli uomini e dei 41 anni e 10 mesi per le donne.

Si può fare? Bisognerà fare i conti con la realtà, senza dubbio. Secondo i dati dell’Inps, nel 2023 la spesa pensionistica ha toccato quota 248 miliardi di euro, ben 17 in più rispetto all’anno precedente. Il numero di pensionati in Italia è tornato a crescere: 16,13 milioni, riequilibrato soltanto in parte dall’aumento degli occupati che superano i 23 milioni (+400mila in un anno). Il rapporto tra pensionati e occupati è ad oggi di 1,44, ma le proiezioni stimano che nel 2050 il rapporto scenderà a uno, un dato insostenibile per garantire il pagamento delle pensioni.

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