Il rush finale di Ursula von der Leyen per il secondo mandato: il fattore Meloni e il rischio Draghi

05.06.2024
Il rush finale di Ursula von der Leyen per il secondo mandato: il fattore Meloni e il rischio Draghi
Il rush finale di Ursula von der Leyen per il secondo mandato: il fattore Meloni e il rischio Draghi

La presidente uscente della Commissione e il nodo alleanze: il via libera dei governi Ue, Italia compresa, potrebbe non bastarle

Mancano pochi giorni alle elezioni europee, ma è già da un po’ che a Bruxelles si cerca di fare piani per il post voto. Chiuse le urne, si intensificherà il complesso risiko politico che porterà al rinnovo dei vertici delle istituzioni comunitarie, un’operazione da cui dipenderà l’orientamento politico dell’Ue nei prossimi cinque anni. E la domanda che tutti si pongono (e a cui nessuno sa rispondere) è: quante chances ha Ursula von der Leyen di centrare il bis alla presidenza della Commissione?

Come abbiamo spiegato qui, il weekend elettorale con cui si chiuderà la settimana appena iniziata segnerà solo il primo passo di un rimescolamento molto più ampio delle carte che distribuiranno il potere politico nell’Unione. In gergo si parla di nuovo ciclo istituzionale: in sostanza, oltre all’Eurocamera di Strasburgo si rinnoverà anche il collegio della Commissione – inclusi i due ruoli più importanti, cioè il presidente e l’Alto rappresentante per la politica estera – nonché la presidenza del Consiglio europeo. È un gioco di equilibrismo per bilanciare il peso delle varie famiglie politiche e degli stessi Stati membri, un complesso risiko per determinare chi ottiene cosa e a spese di chi. 

Obiettivo secondo mandato

Il top job più ambito e dal quale dipendono poi anche parecchi degli incastri successivi è proprio quello del capo dell’esecutivo comunitario, organo che tra le altre cose detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa. Da quando von der Leyen ha annunciato la propria candidatura per un secondo mandato lo scorso febbraio, è sembrata la più solida tra gli Spitzenkandidaten dei partiti europei (i “candidati di punta” per la presidenza della Commissione). Ma col passare delle settimane è apparso sempre più evidente che la sua riconferma al timone del Berlaymont non è affatto scontata.

Prima di tutto, la presidente uscente deve ottenere la nomina dai capi di Stato o di governo dei Ventisette che siedono al Consiglio europeo. Questa, almeno sulla carta, non dovrebbe essere un’impresa impossibile: il Partito popolare europeo (Ppe) di centro-destra da cui proviene controlla undici Paesi, una buona base di partenza per raggiungere la maggioranza qualificata del 55% degli Stati membri (cioè una quindicina) che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. 

Von der Leyen e Nicolas Schmit (Spitzenkandidat dei Socialisti europei) ad un dibattito pre-elettorale a Bruxelles, 21 maggio 2024

I numeri a Strasburgo

Ma sarà il Parlamento europeo a dare a von der Leyen i maggiori grattacapo. Per ottenere di nuovo il suo incarico attuale, la Kandidatin dei Popolari avrà bisogno di 361 voti, cioè la maggioranza assoluta (50% più uno) dei 720 membri dell’Aula. Nel 2019, von der Leyen ottenne l’incarico con un margine di soli nove voti. Stando alle ultime proiezioni, la grande coalizione che l’ha sostenuta in questo mandato dovrebbe superare agevolmente quella soglia: sommando i seggi di Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (Renew Europe) si arriva circa a quota 390. 

Tuttavia, non si tratta di una certezza matematica. Siccome gli eurodeputati votano a scrutinio segreto, von der Leyen potrebbe venire disarcionata se, come previsto da diversi analisti, in questi tre gruppi il tasso di “ribelli” (o franchi tiratori, per dirla all’italiana) supererà il 10%. In quel caso, la soglia dei 361 voti si allontanerebbe e alla presidente in pectore servirà l’appoggio di altri parlamentari: un’ipotesi è quella della “continuità” rispetto agli ultimi cinque anni, con von der Leyen che cercherà di farsi sostenere anche dai Verdi. 

Il dilemma Meloni

Esiste però anche un’altra opzione sulla quale gli osservatori si stanno interrogando. Si tratta di un’eventuale asse politico tra Ppe e Ecr, il gruppo dei Conservatori e riformisti guidati dalla premier italiana Giorgia Meloni, alla collaborazione con la quale von der Leyen ha aperto esplicitamente la porta nelle ultime settimane. Ma se da un lato non può dirsi sicuro il sostegno di molte delegazioni dell’Ecr (c’è il rischio che votino a favore solo i meloniani, che dovrebbero essere poco più di una ventina), dall’altro lato c’è la possibilità molto più reale (e molto più pesante in termini numerici) che strizzare l’occhiolino troppo a destra alieni il supporto degli alleati europeisti moderati.

Questo almeno è quanto stanno ribadendo da giorni molti esponenti dei Socialisti, dei liberali e dei Verdi, i quali hanno sottoscritto un impegno a non collaborare con le forze di estrema destra a nessun livello, né domestico né europeo. In realtà sono stati proprio i liberali olandesi a infrangere questo accordo accettando di sedersi al governo con Geert Wilders, ma potrebbero pagare questa scelta con l’espulsione dal gruppo di Renew a Strasburgo. 

Ad ogni modo, appare sempre più evidente che, se von der Leyen vuole rimanere al comando del Berlaymont per altri cinque anni, dovrà convincere ancora una volta i suoi partner tradizionali. E chiudere quindi quella porta che lei stessa aveva aperto alla destra radicale: con questa mossa non si assicurerà automaticamente i 361 “sì” che le serviranno, ma si avvicinerà molto di più a quel risultato di quanto non possa farlo corteggiando le destre europee e perdendo di conseguenza Socialisti, Verdi e una grossa fetta dei liberali. E attirando probabilmente anche il fuoco amico di una parte dei suoi. 

L’incognita “Super Mario”

Dicevamo che il vero problema per un eventuale bis di von der Leyen sarà l’Eurocamera. Ma, si sa, in politica niente si può dare per scontato e dunque è lecito aspettarsi delle sorprese per la presidente uscente anche in sede di Consiglio europeo. Se è vero che il suo Ppe ha la maggioranza relativa e che un sostegno alla sua ricandidatura arriverà anche da altre parti, è anche vero che non possiamo dare per scontato l’appoggio di tutti gli altri leader seduti al tavolo.

Uno che sicuramente si metterà di traverso sarà il presidente francese Emmanuel Macron: proprio colui che, con una mossa del cavallo da manuale, nel 2019 giocò un ruolo determinante nell’insediare von der Leyen alla guida della Commissione. Ora, è un segreto di pulcinella che il capo dell’Eliseo voglia sostituirla con l’ex premier italiano Mario Draghi, con il quale c’è grande sintonia rispetto alle priorità politiche per l’Ue nell’immediato futuro. 

La strada per l’ex numero uno della Bce è tuttavia tutt’altro che spianata: non provenendo da nessuna famiglia politica farebbe più fatica a conquistare un supporto trasversale tra i leader europei, i quali peraltro potrebbero non volerlo al Berlaymont per il timore che un profilo ingombrante come quello di “Super Mario” possa metterli in ombra. Se questa proposta venisse fatta, comunque, sarebbe difficile per Meloni non supportarla, perché potrebbe riconsegnare ad un italiano (che peraltro l’ha aiutata non poco nella transizione a Palazzo Chigi) la presidenza dell’esecutivo comunitario.

Del resto, a mettere i bastoni tra le ruote alla presidente-candidata potrebbe pensarci anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Che si trova pure lui in un dilemma: se vuole mantenere per la Germania un ruolo di primo piano nella prossima Commissione deve sostenere von der Leyen (l’alternativa sarebbe un commissario “semplice” proposto dagli alleati ecologisti con cui governa a Berlino), ma i Socialisti europei (nonché il suo stesso Partito socialdemocratico tedesco) sono sempre più freddi nei confronti di quest’ultima, proprio per le aperture a destra di cui parlavamo. 

Insomma, le carte sono ancora coperte, ma la partita si preannuncia tesa: la cosa più probabile è che un primo tentativo con von der Leyen venga fatto dai leader europei. Se però dovesse passare la prova del Consiglio europeo ma non quella dell’Aula, allora i giochi si riaprirebbero e potrebbe essere un liberi tutti.

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