A migliaia in fuga dall’Italia, come negli anni ’50: vi racconto la nuova vita degli “expat”

06.11.2024
A migliaia in fuga dall'Italia, come negli anni '50: vi racconto la nuova vita degli "expat"
A migliaia in fuga dall'Italia, come negli anni '50: vi racconto la nuova vita degli "expat"

Hanno studiato poi hanno preso il passaporto e sono andati a vivere all’estero: sono oltre 680mila i laureati italiani che hanno scelto di lasciare il Bel Paese per un altro paese europeo e più di un milione i giovani che lo hanno fatto negli ultimi dieci anni. Un danno per miliardi che pesa sulla nostra economia, ma molti non tornerebbero più indietro. Ecco perché

Un’Italia che cresce, guadagna, fa figli, produce innovazione e investe. È la patria invisibile, sparsa nei quattro angoli del globo, degli italiani che hanno deciso di lasciare lo Stivale. Dal 2007 il numero di emigrati è raddoppiato, raggiungendo valori simili a quelli degli anni ’50. 

“A Milano guadagnavo 1300 euro al mese, oggi investo e penso a una famiglia” 

Secondo l’Istat sono 377mila i giovani italiani che hanno lasciato l’Italia tra il 2011 e il 2021 per trasferirsi nei maggiori paesi europei. Uno studio della fondazione Nord Est dimostra però che la cifra reale potrebbe essere almeno il triplo di quella ufficiale, perché in molti non registrano la propria residenza all’estero. I livelli di emigrazione attuali sono quindi simili a quelli di settant’anni fa.

Il grande esodo è iniziato con la crisi economica del 2011, in gran parte a causa di salari troppo bassi. L’Italia è infatti l’unico Paese occidentale dove i salari sono diminuiti negli ultimi 30 anni. 

“A Milano lavoravo in un’agenzia di comunicazione: 12 ore al giorno per 1300 euro al mese. Lo stipendio mi bastava appena per sopravvivere e solo perché avevo già casa in città” osserva Silvia, designer di 38 anni. Da quasi sei anni vive a Zurigo dove lavora come senior product designer. Oggi racconta a Today.it di percepire uno stipendio a tre zeri e guardare al futuro: “Per la prima volta sono riuscita a fare dei viaggi che non avrei mai potuto fare, ho risparmiato, fatto investimenti e spedito anche soldi a casa – racconta Silvia, che aggiunge – sto pensando ad avere dei figli e credo che se fossi in Italia sarebbe impossibile. È strano però, se dovesse succedere mi dispiacerebbe che mio figlio non fosse italiano” ci confessa. 

Gli stipendi bassi rendono, del resto, sempre meno attrattivo il nostro Paese. Una dinamica che si interseca con l’inverno demografico e con la fuga dei nostri professionisti. A risentirne è l’intera economia italiana. In Italia i salari sono calati dello 0,9 per cento dal 1992, ad aumentare sono state le ore lavorate. Secondo i dati Ocse nel 2022 gli italiani hanno lavorato mediamente quasi 300 ore più dei tedeschi, guadagnando però 14mila euro in meno. E, a volte, il trasferimento coincide anche con una sorta di “tempo ritrovato”. 

“A Roma per arrivare a fine mese facevo tre lavori: il maestro elementare precario, l’insegnante di teatro e praticavo sedute di arteterapia. Ero sempre di corsa. Adesso vado al lavoro in bicicletta” ci racconta Fulvio. Oggi vive a Bruxelles e da sei anni e lavora come maestro in una scuola europea. Qui ha riscoperto il tempo libero: “Prima lavoravo anche nei weekend, ora il teatro è tornato a essere una passione. A tornare non ci penso, rispetto a quando sono partito le condizioni in Italia mi sembrano addirittura peggiorate” ci confessa. 

“L’Italia? Non è un paese per donne, né per giovani” 

E spesso a lasciare il nostro Paese sono le eccellenze. I laureati italiani presenti nelle maggiori nazioni europee, secondo le stime della Fondazione Nord Est, sarebbero oltre 680mila. Il prezzo di questo esodo, tra il 2011 e il 2021, ammonterebbe a 38 miliardi di euro per le casse pubbliche, quasi due punti di Pil. E se i motivi per partire possono essere molteplici, le motivazioni per non tornare spesso sono molto semplici. 

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I valori reali dell’immigrazione italiana nella Ue tra il 2019 e il 2020 (Progetto Diaspora / Fondazione Nord Est)

“Il mio percorso professionale è stato abbastanza apolide, l’ho fatto per necessità, ma un po’ anche per piacere. Oggi sono stabilmente in Francia con mia moglie che è ricercatrice come me. Abbiamo una figlia e volevamo ricongiungerci” ci racconta Antonio Montefusco, oggi professore ordinario di letteratura medievale all’Università della Lorena, in Francia. Antonio racconta di aver vinto il concorso universitario senza conoscenze con un processo selettivo più aperto rispetto a quello italiano. “La Francia ha un sistema universitario più internazionale e non stanno ancora affogando nei tagli, come succede da noi. Il rovescio della medaglia è che i docenti fanno molta più attività amministrativa” ci confessa.

Ma i motivi per restare sono anche altri: “Dall’Italia ci siamo allontanati per la mancanza di sostegno per chi fa ricerca. Per quanto riguarda i servizi poi il confronto è impietoso. Per l’asilo di mia figlia non abbiamo sborsato nulla, i servizi sportivi sono gratuiti. Il sostegno per le famiglie non ha paragoni, anche se i tagli si cominciano a vedere anche qui” osserva Antonio. 

E, mentre il governo prepara l’ennesima riforma che precarizza i contratti dei ricercatori, in tanti continuano ad andare via. Marta Paterlini, biologa e ricercatrice bresciana, questa scelta l’ha fatta 25 anni fa. “Dopo la laurea a Parma ho fatto il dottorato a Brescia. Il professore che mi seguiva all’epoca mi ha mandato all’estero: era un modo elegante per spedire i suoi studenti fuori dal dipartimento. Dovevo rimanere sei mesi, non sono più rientrata” racconta a Today.it. Dopo New York, dove ha vissuto 5 anni, oggi vive a Stoccolma dove lavora come ricercatrice. 

“Qui la ricerca è un lavoro remunerato, un qualcosa che porta sviluppo e ricchezza. Si lavora per risultati e obiettivi. Dall’Italia, da dove sono partita, era tutto sotto il controllo dei cosiddetti ‘baronati’. Non credo che le cose siano cambiate” aggiunge Marta. 

Oggi ha due figlie e a tornare non pensa. “L’Italia non è un paese per donne, né per giovani. Faccio un esempio: in Svezia il congedo di maternità è chiamato ‘congedo genitoriale’. Sono 480 giorni in totale, che la donna divide a metà con il padre. In più è incentivato il part time lavorativo, gli asili sono gratuiti, vengono erogati sussidi alle famiglie e ai ragazzi. La famiglia è insomma un valore aggiunto e le donne risorse importanti per il mondo del lavoro – racconta Marta che aggiunge – in Italia non si scommette sui giovani e si è considerati tali fino a 50 anni”. Anche per questo, c’è chi decide di mettersi in gioco lontano da casa. 

“Le banche belghe hanno creduto in noi: oggi gestiamo una pizzeria” 

È il caso di Andrea Zappalà, 32enne catanese, titolare, con la compagna, di una pizzeria a Bruxelles. Andrea si innamora della capitale belga durante l’Erasmus della sua ragazza. A Catania decide di fare un corso da pizzaiolo, ma il progetto è quello di spostarsi in Belgio. “In Italia la ristorazione vuol dire turni massacranti per paghe misere, avevamo altri progetti” racconta a Today.it.

Torna quindi in Belgio con la compagna. Entrambi lavorano nella ristorazione, poi riescono ad aprire la loro pizzeria a Bruxelles. Le banche credono nel progetto anche se sono giovani. “In Italia c’è molta burocrazia, qui siamo riusciti in tempi brevi ad avere un prestito” ci racconta. 

Ma non sono i soli: “Conosco molti ex dipendenti che si sono aperti un’attività qui. Bruxelles spinge a crescere e aggiornarti costantemente. Devi dare sempre il mille per cento, ma se ti impegni i risultati si vedono” osserva Andrea che scandisce più volte la parola ‘sacrificio’. “In Italia un aiuto pizzaiolo rimane, quasi sempre, aiuto pizzaiolo. Io partendo dal basso ho aperto un’attività” sottolinea Andrea. 

E in molti expat c’è la sensazione che l’Italia sia rimasta indietro mentre le altre nazioni correvano. Giovanni Carlini lavora in una grande catena di articoli sportivi. È nato sotto il Gran Sasso, ha la passione per lo sci, e si occupa di attrezzature sportive da montagna. Vive con la compagna a Berlino dal 2010. “Mi sto guardando intorno e sto cercando di cambiare lavoro, ma con il mio stipendio riesco a togliermi gli sfizi e fare una settimana bianca all’anno” racconta a Today.it.

Il suo è però anche uno sguardo retrospettivo: “Qui hanno recuperato soldi con la lotta all’evasione e la legalizzazione delle droghe leggere, ad esempio, in Italia ne sento parlare dagli anni ’90, a mancare è il coraggio” ci fa notare Giovanni. Una delle tante carenze che ci condannano, anno dopo anno, al declino. 

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