Le chance di Draghi, Macron e Meloni decisivi per lanciare l’ex premier al vertice Ue

17.04.2024
Le chance di Draghi, Macron e Meloni decisivi per lanciare l’ex premier al vertice Ue
Le chance di Draghi, Macron e Meloni decisivi per lanciare l’ex premier al vertice Ue

Ma per ora i favoriti sono Costa e Frederiksen

La tesi di una persona che lo conosce bene è questa: «Più Mario parla di Europa, più calano le sue chance per una poltrona di peso in Europa». Mario Draghi è fatto così. Un po’ è testarda coerenza, un po’ vanità impolitica: Ursula von der Leyen gli ha dato un compito, e lui lo assolve fino in fondo. Il discorso di ieri in Belgio si può riassumere in otto parole: se l’Unione non cambia marcia, andrà a sbattere. E poco importa se a Bruxelles non valgono le stesse regole di Francoforte: dall’ultimo piano del grattacielo della Banca centrale europea si è un po’ monarca, la guida della Commissione e del Consiglio dei Ventisette è per mediatori inclini ai compromessi. E’ possibile immaginare che quei ventisette leader si mettano nelle mani di chi propone «cambiamenti radicali»? Difficile, non ancora impossibile.

Ignazio La Russa dice che Draghi «può ambire ad ogni ruolo», Viktor Orban lo definisce «una brava persona», e vai a capire se il giudizio del più filorusso dei leader europei all’atlantista senza sfumature non sia carico di malizia. Nel frattempo l’ex premier si comporta come sempre: si divide fra Roma, Milano e la casa di famiglia in Umbria, viaggia molto, parla quando necessario, partecipa a cene (di recente è stato avvistato a Trastevere) si attarda al telefono, evita le interviste come la peste. Due settimane fa, intercettato sotto la casa romana con le sneaker inzaccherate dopo una passeggiata al parco, ha liquidato il sottoscritto con un grande sorriso e un «buon lavoro».

Ma torniamo alla domanda: quante chanche ha Mario Draghi di diventare leader europeo? Oggi lo scenario più probabile è quello che ha sempre prevalso: una spartizione delle poltrone più importanti fra Popolari e Socialisti. Con sempre più affanno Ursula von der Leyen aspira a succedere a sé stessa alla guida della Commissione. L’attivismo delle ultime settimane, la bocciatura del collega di partito Markus Piper a inviato per le piccole e medie imprese, l’alleanza esibita con Giorgia Meloni le stanno complicando la vita. E però oggi un candidato alternativo del partito Popolare europeo non c’è. I socialisti hanno prenotato la poltrona del Consiglio per l’ex premier portoghese Antonio Costa o la danese Mette Frederiksen. Se dalle elezioni non usciranno sorprese, ai liberali potrebbe andare la poltrona dell’Alto rappresentante per la politica estera. E poiché la guerra in Ucraina nel frattempo non sarà finita, chi meglio della premier di un Paese baltico, l’estone Kaja Kallas.

Poi c’è lo scenario che potrebbe rimettere in gioco Draghi, magari per il Consiglio. I sondaggi dicono che la somma dei seggi nel nuovo parlamento di Strasburgo confermerà una maggioranza solida per le tre grandi famiglie della politica europea. Ma che accadrebbe nel caso in cui i numeri fossero più incerti? E come si comporteranno i due leader meno vicini allo status quo europeo? Ironia della sorte vuole che tutto dipenderà dal peggior nemico e la miglior amica di Von der Leyen, ovvero Emmanuel Macron e Giorgia Meloni. Macron è lo sponsor più genuino dell’ex premier italiano: dipendesse da lui, Draghi avrebbe già fatto le valigie per Bruxelles. Non solo: il presidente francese si è messo in testa – o almeno così vuol far credere – di mandare a casa la politica tedesca, rea di non aver fatto abbastanza per far progredire la macchina dell’Unione. Secondo quanto riferiscono fonti molto autorevoli, il francese avrebbe già avanzato una proposta indecente a Olaf Scholz: sostituire Von der Leyen con l’attuale presidente Bce Christine Lagarde, lasciando libera ai tedeschi la poltrona fin qui tabù per i custodi dell’ortodossia monetaria. Non sembra una proposta praticabile: terremotare la più solida delle istituzioni europee è troppo persino per il più audace dei leader, quale è Macron. Poiché il presidente francese è in affanno nei sondaggi (il partito di Marine Le Pen alle Europee andrà piuttosto forte) il messaggio suona più o meno così: pur di cambiare aria a Bruxelles, sono disposto a mettere in discussione ogni certezza.

Meloni è mossa da ragioni uguali e opposte al collega francese. La premier, a cui i sondaggi assegnano una vittoria a mani basse, rischia la beffa di rimanere fuori dai giochi delle poltrone più importanti dell’Unione. Di qui la tentazione della carta Draghi, l’unica che – a meno di sorprese dal voto – la metterebbe al centro della scena, magari grazie al sostegno dell’europeista polacco Donald Tusk. Per Meloni la scelta avrebbe un vantaggio (togliersi dai piedi chi sta sempre in cima alle preferenze di un eventuale governo di emergenza) ma anche un costo altissimo, perché la costringerebbe a rinunciare al candidato naturale ad una poltrona importante nella Commissione (si dice l’Industria) per Raffaele Fitto, colui per anni ha tessuto la tela europea di Meloni. Per capirne di più occorrerà attendere almeno i risultati del 10 giugno. Fino ad allora, statene certi, Draghi viaggerà molto, parlerà quando necessario, parteciperà a cene, si attarderà al telefono ed eviterà le interviste come la peste.

Fonte: LaStampa

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