Se fosse un film western, la situazione del preconclave sarebbe quella di uno “stallo alla messicana”. «Non stiamo facendo né passi avanti né passi indietro» sul nome del nuovo papa, ha dichiarato il cardinale ivoriano Bessi Dogbo, arcivescovo di Abidjan, all’uscita dalla decima congregazione generale ieri mattina.
Non sembra infatti emergere un candidato nettamente più forte degli altri. Tanto che gli amanti del genere “totopapa”, che riempie quotidianamente le pagine di tutti i giornali, devono districarsi fra una folta schiera di “papabili” che ormai è arrivata ad almeno 15 nomi. Del resto si tratta del Conclave più affollato (133 cardinali elettori, tutti arrivati a Roma) e multietnico (65 Paesi di provenienza, non c’è più il Kenya che ha perso il suo unico rappresentante, assente per motivi di salute) della storia della Chiesa. «In molti non ci conosciamo», ha confermato il cardinale iracheno Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei. «Non abbiamo ancora un nome, ora stiamo solo discutendo», ha detto il cardinale Coutts, arcivescovo metropolita emerito di Karachi, elettore ancora per poco visto che a luglio compirà ottant’anni e uscirà dal Conclave.
Il confronto è continuato anche ieri, in due riunioni della congregazione generale, sia la mattina che il pomeriggio, durante le quali ci sono stati oltre quaranta interventi su vari temi: il diritto canonico, il ruolo dello Stato Vaticano, la sinodalità, la missionarietà, ma anche «la cura del creato», le migrazioni e le guerre. Soprattutto si è parlato del profilo del futuro papa: dovrà essere – riferisce la sala stampa della Santa sede – un «pastore vicino alla vita concreta delle persone» e capace di «favorire l’accesso alla comunione a un’umanità disorientata e segnata dalla crisi dell’ordine mondiale».
Sembrerebbe l’identikit di pontefice con un curriculum più pastorale che curiale o diplomatico, ma la partita è ancora apertissima, come ha detto il cardinale francese Vesco, arcivescovo di Algeri, uscendo dalla riunione del pomeriggio: il prossimo papa potrebbe essere «un pastore, un teologo, un diplomatico, non importa». E si giocherà – al di là dei “partiti” conservatore, progressista, moderato – fra coloro che vogliono che il nuovo pontefice porti avanti i processi avviati e lasciati aperti da Bergoglio e chi invece punta a fermarli, parcheggiandoli su un binario morto, senza necessariamente fare un’inversione a U che sarebbe difficilmente compresa dal “popolo di Francesco”.
Ieri pomeriggio, nella Cappella Paolina, tutti gli officiali e addetti al Conclave, sia ecclesiastici che laici (addetti agli ascensori, ai servizi mensa, alle pulizie, ai trasporti, medici, infermieri) hanno giurato di osservare il «segreto assoluto e perpetuo» su tutto ciò che avverrà nei prossimi giorni. Oggi ultima riunione dei cardinali. E domani pomeriggio, dopo la messa pro eligendo romano pontifice in mattinata nella basilica di San Pietro, presieduta dal decano del collegio cardinalizio Re, le porte della Cappella Sistina verranno chiuse e cominceranno le votazioni: mercoledì solo una volta e poi quattro al giorno, due la mattina e due il pomeriggio, fino alla fumata bianca che annuncerà il nuovo papa (la storia, le dinamiche, le tradizioni e le trasformazioni del Conclave sono ben raccontate nel libro, appena uscito, dello storico Alberto Melloni, Il conclave e l’elezione del papa. Una storia dal I al XXI secolo, Marietti 1820).
Questa mattina invece, all’associazione della stampa estera, la rete L’Abuso (la principale associazione italiana delle vittime della pedofilia del clero) presenterà un rapporto con i nuovi dati che riguardano l’Italia, dove dal 2000 a oggi sono stati censiti «mille preti offender e 4.500 sopravvissuti». Si tratta di uno dei principali problemi della Chiesa che arriverà in eredità al nuovo pontefice.