Musk contro tutti: così diffonde il verbo di Trump in Europa (e non solo)

08.01.2025
Musk contro tutti: così diffonde il verbo di Trump in Europa (e non solo)
Musk contro tutti: così diffonde il verbo di Trump in Europa (e non solo)

Sono state diverse le occasioni in cui l’uomo più ricco del mondo ha ficcato il naso negli affari politici stranieri, probabilmente per firmare contratti miliardari vantaggiosi per le sue aziende e diffondere in tutto il mondo la narrativa trumpiana

L’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, indossa anche i panni del commentatore politico. Da quando ha deciso di sostenere il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca – finanziando la sua campagna elettorale -, ha usato il social media di sua proprietà, X (ex Twitter), per dire la sua opinione sulle faccende dei paesi stranieri e sui loro leader. E lo fa con una rozza franchezza di chi ha capito che esagerare con le proprie esternazioni – tutte volte a rafforzare l’ideologia di estrema destra – funziona mediaticamente. Sono state diverse le occasioni in cui Musk ha ficcato il naso negli affari politici stranieri, probabilmente per firmare contratti miliardari (leggi: il caso italiano per la fornitura di Starlink, che si occupa di connettività satellitare) vantaggiosi per le sue aziende e diffondere in tutto il mondo la narrativa trumpiana. 

L’Italia e i rapporti con Meloni

Partiamo dall’Italia. Il miliardario di origine sudafricana vanta un rapporto ottimo con la premier Giorgia Meloni, tanto da aver avuto l’onore di premiarla personalmente del Global Citizen Award, un riconoscimento che l’Atlantic Council, un influente think tank americano di orientamento liberale, conferisce ogni anno alle persone ritenute in grado di fornire “un contributo significativo al miglioramento del mondo”.

Giorgia Meloni e Elon Musk
Giorgia Meloni e Elon Musk (LaPresse)

E lo dimostrano anche le foto in cui i due sorridono, consapevoli che il gap digitale che l’Unione europea chiede di superare (attraverso i finanziamenti del Pnrr) può aiutarli a farli salire sul cavallo dei vincenti dell’innovazione tecnologica. Da un lato Musk offre i suoi circa 6000 satelliti per garantire una connettività satellitare – che al momento non ha pari nell’Unione europea – e dall’altra Meloni ha nelle mani un disegno di legge ad hoc, chiamato Ddl Spazio e ribattezzato Ddl Musk. Il testo è concepito per accentrare il potere decisionale nelle mani della premier che sarà nominata “Autorità responsabile” e, in questo modo, gestire a suo piacimento i rapporti (economici) con il miliardario patron di X, SpaceX e Starlink. A dispetto dei bandi di gara pubblici e delle richieste delle opposizioni italiane.

Musk, come molti esponenti di destra italiana, non ha mancato di attaccare la magistratura del nostro paese. Commentando la decisione del Tribunale di Roma di bloccare il trasferimento dei migranti in Albania, il miliardario di origine sudafricana ha bacchettato i giudici suggerendo loro di andarsene. Un suggerimento che non è piaciuto al Capo dello Stato. Sergio Mattarella ha ricordato che “l’Italia è un grande paese democratico” che agisce “nel rispetto della sua Costituzione”. Ha poi aggiunto un preciso avvertimento: “Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni”, in riferimento al ruolo che Musk dovrebbe assumere nell’amministrazione Trump, come capo del Department of Government Efficiency (Doge), un nuovo dipartimento che avrà il compito di razionalizzare la macchina pubblica americana.

Non era di certo la prima volta che Musk interveniva sulla politica migratoria italiana. Il miliardario aveva già difeso il leader della Lega Matteo Salvini, per la vicenda Open Arms, definendo “scandaloso che sia sotto processo per aver fatto rispettare la legge”.

L’attacco all’Unione Europea e il sostegno all’estrema destra tedesca

Certamente non sono mancate parole di sfida nei confronti delle istituzioni europee. “Antidemocratica”, con questa parola il patron di X ha bollato la nuova formazione della Commissione europea, guidata da Ursula Von der Leyen. Commenti sgraditi a Bruxelles, che d’altronde non apprezza il sostegno di Musk per il partito di estrema destra tedesco Alternative fur Deutschland (AfD). Con i tedeschi che andranno alle urne il mese prossimo, il miliardario della tecnologia ha suscitato stupore per il suo schieramento a favore del partito di estrema destra AfD, l’unico in grado di “salvare la Germania” dal “fesso” e “idiota incapace” del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Nel suo discorso di fine anno, il leader dell’Spd ha risposto con una stoccata a Musk: “Sulla Germania non decide lui”. 

Il sondaggio per “liberare i britannici dal governo tirannico” di Starmer

Ancor prima di arrivare a esprimersi sulle faccende dei paesi europei, Musk si è intromesso soprattutto nella politica britannica. A poche settimane dall’inizio dell’amministrazione di Keir Starmer, Musk ha affermato che “la guerra civile è inevitabile” nel Regno Unito. Da quel momento, gli attacchi contro il governo laburista e il suo leader si sono intensificati. Ha chiesto che il primo ministro Starmer venisse imprigionato, accusandolo di essere stato complice nell’insabbiamento iniziale di abusi sessuali perpetrati su bambine e ragazze da gang di pedofili all’interno di comunità di radici asiatiche in Inghilterra del nord negli anni in cui Starmer era procuratore capo del Crown Prosecution Service. Musk ha di recente pubblicato sul suo profilo X un sondaggio in cui chiede agli utenti se “l’America dovrebbe liberare i britannici dal loro governo tirannico”. Il voto, ovviamente, non ha alcuna validità.

Il sondaggio di Musk sul governo britannico
Il sondaggio di Musk sul governo britannico

Auspicando nella caduta del governo laburista, Musk si è proposto di finanziare il partito sovranista di Nigel Farage, Reform UK (si era parlato di una possibile donazione di 100 milioni di dollari da parte del miliardario americano a favore del Reform UK), salvo poi litigare con il suo presunto alleato. Qualche settimana fa ha chiesto che Farage, uno dei principali sostenitori di Trump, venisse sostituito al vertice del partito perché non è abbastanza entusiasta dell’agitatore fascista inglese Tommy Robinson, attualmente in carcere per scontare una condanna a 18 mesi per oltraggio alla corte, avendo mentito durante un procedimento giudiziario. “Il Reform Party ha bisogno di un nuovo leader. Farage non ha la stoffa” per guidare il partito, ha scritto in un post su ‘X’.

Canada e Groenlandia 

Il capo della Tesla aveva previsto lo scorso novembre che il primo ministro canadese Justin Trudeau “sarà assente alle prossime elezioni”. Previsione che si è rivelata esatta qualche settimana dopo. Il leader del Partito Liberale si è dimesso lo scorso 6 gennaio dalla guida del suo partito e del paese dopo 13 anni di servizio. Musk non sentirà la sua mancanza e, anzi, rafforzerà la narrativa di Trump che vuole rendere il Canada il 51esimo stato degli Stati Uniti. Il presidente eletto non vuole allungare le mani solo sul paese confinante, ma anche sulla Groenlandia, sfidando l’alleato danese. 

Da anni Trump esprime il suo interesse nell’acquisizione del territorio della Danimarca, che definisce una “necessità assoluta” per la sicurezza americana. In caso contrario, scatterebbero pesanti dazi contro la Danimarca. Anche in questo caso, Musk ha detto la sua su X: “Se il popolo della Groenlandia vuole far parte dell’America, cosa che spero, sarebbe il benvenuto!”

E la Cina?

Nella lista dei principali governi con cui si è scontrato Musk ne manca uno: la Cina. Il patron di Tesla per ora non ha mai infilato il naso negli affari della Repubblica popolare cinese, se non per affermare che Taiwan dovrebbe diventare una “regione amministrativa speciale” della Cina, come per Hong Kong. Commenti che hanno ricevuto elogi da Pechino.

Come sottolineato sul New York Times dal generale statunitense Russel Honoré, le iniziative imprenditoriali di Musk dipendono fortemente dalla Cina. Il miliardario ha ottenuto un prestito di almeno 1,4 miliardi di dollari da banche controllate dal governo cinese per costruire la gigafactory di Tesla a Shanghai, che è stata responsabile di oltre la metà delle consegne globali del marchio americano nel terzo trimestre del 2024. 

Proprio lo scorso anno, il gruppo delle e-car di Musk ha messo a segno un nuovo record di consegne in Cina con oltre 657mila veicoli elettrici venduti, con un balzo dell’8,8 per cento rispetto all’anno precedente. E con un vero e proprio boom a fine anno, in cui le consegne sono schizzate del 12,8 per cento su base mensile. Ma il dato non deve ingannare, perché la concorrenza delle case automobilistiche locali si fa sempre più agguerrita, e Tesla continua a perdere in Cina quote di mercato, passando dal 7,8 per cento del 2023 al 6 per cento del 2024. E il colosso americano, nonostante una capitalizzazione da 1.200 miliardi di dollari, rischia di finire schiacciato in quella che oramai è diventata una vera e propria guerra dei prezzi con i brand cinesi (che ricevono sussidi statali) e le loro auto decisamente più convenienti.

Musk vanta ottime relazioni con i leader cinesi, che però potrebbe rivelarsi un problema per la sicurezza nazionale americana, dato che SpaceX ha quasi il monopolio sui lanci di razzi degli Stati Uniti. Quando il presidente cinese Xi Jinping visitò gli Stati Uniti nel novembre 2023, incontrò Musk, che scrisse: “Possa esserci prosperità per tutti”, riecheggiando il linguaggio spesso utilizzato dal governo cinese. Musk ha bisogno della Cina e, in vista di una nuova guerra commerciale con gli Stati Uniti, anche la Cina potrebbe aver bisogno di Musk. E anche in questo caso, diventa più nitida l’ombra degli interessi dell’uomo più ricco del mondo, che dà priorità ai suoi personali interessi commerciali rispetto a quelli americani. 

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