Il dato emerge da un’analisi della Camera di commercio sulla base delle dichiarazioni Irpef. Cgil: «Serve un nuovo modello di sviluppo»
Una perdita secca di 865,5 euro. È quanto ha lasciato sul campo in termini di potere d’acquisto ogni contribuente umbro tra il 2019 e il 2023. Il calo reale del reddito Irpef medio pro capite è stato del 3,7 per cento, la peggior performance d’Italia, contro un -1 per cento nazionale. Lo rilevano i dati del Ministero dell’Economia elaborati dalla Camera di commercio dell’Umbria, che confermano come la regione sia quella che più ha sofferto nel periodo post-Covid sotto il profilo economico.
I numeri In valori nominali, il reddito medio Irpef in Umbria è cresciuto del 10,8 per cento, mentre la media italiana ha fatto segnare un +13,9 per cento. Ma il peso dell’inflazione ha azzerato i progressi, trascinando la regione in fondo alla classifica nazionale. Al confronto, regioni come Basilicata (+2,3 per cento reale), Molise (+1,8 per cento) e Calabria (+1,6 per cento) hanno registrato performance più solide. L’Umbria, invece, non ha nemmeno recuperato i livelli pre-pandemia.
I dipendenti Particolarmente pesante è il crollo dei redditi da lavoro dipendente: -10,7 per cento in termini reali, contro un -4,5 per cento nazionale. Nessun’altra regione ha fatto peggio. Nel 2019, il reddito medio dei dipendenti era di 25.734 euro; quattro anni dopo è sceso a 25.454 euro, sempre tenendo conto del potere d’acquisto. Solo i pensionati salvano parzialmente il quadro: in Umbria il loro reddito è cresciuto dello 0,9 per cento reale, meglio della media nazionale (+0,5 per cento).
Le province A livello territoriale, la provincia di Perugia ha visto una crescita nominale del reddito medio dell’11,1 per cento, mentre Terni si ferma al +10,1 per cento: entrambe al di sotto della media italiana e in perdita reale. Il reddito medio umbro si attesta a 20.600 euro, contro i 21.800 della media nazionale. Fa meglio delle Marche e delle regioni meridionali, ma resta debole per una regione del Centro Italia.
Benessere sociale Dall’altra parte però l’Umbria mostra segni di tenuta sociale. Il rapporto BesT di Istat, che misura il benessere sociale dei territori, indica che il 46,1 per cento degli indicatori delle due province umbre rientra nelle fasce di benessere “alta” e “medio-alta”, contro una media italiana del 41,8 per cento. Solo il 17,2 per cento si colloca nella fascia bassa, a fronte del 35,6 per cento nazionale. In particolare, spicca il settore dell’istruzione: il 44,4 per cento degli indicatori è in fascia alta, con un tasso di passaggio dei diplomati all’università del 59,8 per cento, ben sopra la media nazionale.
Gli indicatori Anche la partecipazione civica è sopra la media: alle elezioni europee del 2024 ha votato il 60,8 per cento degli umbri, contro il 49,8 per cento nazionale. Ma la regione resta in affanno su innovazione e creatività. Solo il 37,5 per cento degli indicatori del dominio “ricerca e innovazione” è nelle fasce alte. Sui brevetti, la media regionale è di 53,6 per milione di abitanti, la metà di quella nazionale (102,9). Terni è particolarmente in difficoltà (21), mentre Perugia tiene meglio (64,8).
La cultura Sul fronte culturale, l’Umbria vanta 156 strutture culturali – il 3,5 per cento del totale italiano – e 119 biblioteche pubbliche e private, presenti in oltre due terzi dei comuni. I servizi online comunali per le famiglie sono tra i più avanzati: il 61 per cento dei comuni gestisce almeno un servizio digitale, a fronte del 53,6 per cento della media italiana.
Mencaroni «I dati sui redditi – scrive il presidente della Camera di commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni – certificano una dinamica regressiva dell’Umbria che rischia di cristallizzarsi. Non possiamo accontentarci di una qualità della vita che resiste mentre l’economia arretra». E aggiunge: «Serve uno shock positivo: infrastrutture materiali e immateriali, digitalizzazione e filiere innovative. Servono scelte coraggiose».
La Cgil Sulla stessa linea il segretario regionale della Cgil, Andrea Corpetti, che avverte: «Il tessuto economico dell’Umbria si inquadra in un contesto di scarsa specializzazione e con ridotto contenuto professionale». Secondo le analisi di Cgia Mestre e Agenzia Umbria ricerche, entro il 2035 la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) potrebbe diminuire del 9 per cento, contro una media nazionale del 7,8 per cento. Le previsioni parlano di una flessione dell’11,2 per cento a Terni e dell’8,2 per cento a Perugia, per un totale di oltre 46 mila potenziali lavoratori in meno.
Le retribuzioni A rendere più fragile il quadro occupazionale è anche il divario retributivo tra giovani e resto della popolazione. Nel 2023, i lavoratori sotto i 35 anni in Umbria – che rappresentano il 30,4 per cento del totale – hanno percepito una retribuzione media di 15.071 euro, l’8 per cento in meno della media italiana. Solo un terzo ha un contratto a tempo indeterminato full time. «È doveroso discutere di un nuovo modello di sviluppo – dice Corpetti – che favorisca la transizione ecologica, l’efficienza energetica e l’occupazione stabile».
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