La premier punta a una poltrona di prestigio nel prossimo esecutivo Ue. E per farlo potrebbe proporre un personaggio autorevole per la poltrona del commissario in quota italiana. Da Fitto a Cingolani, passando per Belloni, ecco i papabili in corsa per Bruxelles
Nonostante lo stallo del summit di lunedì sera a Bruxelles, i 27 Stati membri sembrano aver trovato un’intesa di massima sui nomi di chi siederà nelle quattro poltrone più importanti dell’Unione europea: la tedesca Ursula von der Leyen alla Commissione, il portoghese Antonio Costa al Consiglio, l’estone Kaja Kallas all’Alto rappresentante, e la maltese Roberto Metsola al Parlamento. Nel quartetto, non ci sono italiani, ma il nostro Paese ha diritto, come tutti gli altri, a uno dei 26 commissari che compongono, con il o la presidente, l’esecutivo Ue. La premier Giorgia Meloni, come hanno fatto del resto i suoi predecessori, reclama un portafoglio di peso. Ma ottenere una carica di prestigio non basta: occorre anche, se non soprattutto, trovare un candidato forte che possa superare i potenziali veti tra Bruxelles e Strasburgo. Meloni, a differenza di altri leader di governo del blocco, non ha ancora sciolto le riserve. Ma il toto-nomi è già partito. Ecco chi sono i papabili.
Come viene eletto un commissario
Il compito di nominare il commissario in quota Italia spetta a Meloni: sarà lei che comunicherà la sua scelta al Consiglio europeo, in accordo con il presidente della Commissione. La lista dei commissari proposti dai vari Stati membri, una volta adottata dal Consiglio, passerà al vaglio dell’Eurocamera. Ed è qui che le candidature rischiano di venire bruciate: il Parlamento può infatti bocciare la lista completa, incluso il presidente, se uno o più commissari non sono graditi alla maggioranza dell’Aula. È successo per esempio a Rocco Buttiglione nel 2004, quando i deputati lo bocciarono per via di alcune sue dichiarazioni ritenute omofobe. Ed è successo all’ultimo giro di nomine, quello del 2019, quando ben tre Paesi (Ungheria, Romania e Francia) dovettero cambiare in corsa i loro candidati poiché non graditi alla maggioranza dei parlamentari.
Francesco Lollobrigida
Il rischio di un veto di Strasburgo al commissario tricolore è più che concreto. Ecco perché Meloni sta cercando un nome che possa evitare quello che sarebbe uno schiaffo politico all’Italia. Un’esigenza che cozza, per esempio, con l’ipotesi di una nomina di Francesco Lollobrigida.
Il ministro dell’Agricoltura, indicato da alcuni come un potenziale candidato (tra l’altro proprio al portafoglio che gestisce le laute risorse della politica agricola comune), sconta le recenti polemiche sul suo ormai ex portavoce Paolo Signorelli, al centro della bufera per i rapporti con il criminale romano Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, e i messaggi antisemiti che i due si scambiavano. Una ‘macchia’ che sicuramente ostacolerebbe una eventuale nomina di Lollobrigida.
Raffaele Fitto
In realtà, a frenare questa nomina ci sarebbe anche la volontà di Meloni di non mandare a Bruxelles un membro della sua squadra di governo e di non affrontare il conseguente rimpasto che ne scaturirebbe. In tale contesto, perde quota anche l’ipotesi di candidare Raffaele Fitto, ministro con un notevole curriculum europeo alle spalle: a lui, ex membro del Parlamento per 8 anni, si deve la rete di relazioni che ha portato Fratelli d’Italia a diventare una forza politica centrale nell’Ecr, il partito dei conservatori Ue.
Inoltre, grazie al suo trascorso in Forza Italia e nel Ppe, il principale partito europeo di centrodestra, Fitto vanta ottimi rapporti con i moderati dell’Eurocamera. Senza contare il lavoro che sta svolgendo da ministro degli Affari europei sui fondi di coesione e soprattutto sul Pnrr in stretto contatto con la Commissione von der Leyen. Fitto, però, non sembra voler tornare a Bruxelles. Né Meloni sembra volersi privare di lui a Roma.
Giancarlo Giorgetti
Ancora meno probabile, non solo per le remore della premier circa un potenziale rimpasto di governo, appare l’ipotesi di nominare Giancarlo Giorgetti: è vero che il ministro dell’Economia si è ben distinto in Europa per il suo lavoro volto a far quadrare i conti e per i negoziati su dossier caldi come la fusione tra Ita e Lufthansa.
Ma è pur sempre esponente della Lega, e non di FdI. Il che pone due limiti: il primo è che il resto dei conservatori Ue potrebbe contestare il fatto che la loro leader (Meloni è presidente di Ecr) porti in Commissione un membro di un altro gruppo politico, quello dei sovranisti di Id. Il secondo è che sul gruppo di Matteo Salvini e Marine Le Pen grava da sempre il cordone sanitario posto dalle forze di maggioranza all’Eurocamera: li cordone vuol dire niente incarichi all’interno del Parlamento, figurarsi in Commissione.
Roberto Cingolani
Scartate le ipotesi che portano ai ministri, nel toto-nomine si fa strada l’idea di un candidato tecnico dal profilo autorevole a livello internazionale. Un profilo che alcuni hanno accostato a Roberto Cingolani: l’ex professore universitario di fisica ed ex direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, è stato per due anni ministro della Transizione ecologica con il governo di Mario Draghi, lavorando a stretto contatto con Bruxelles sul Green deal.
In quella veste, Cingolani si è distinto per le sue posizioni ‘conservatrici’, per esempio come quando criticò lo stop Ue alle auto a benzina, una delle misure cardine del Green deal di von der Leyen. Queste posizioni, però, gli sono valse il plauso della destra, tanto che Meloni lo ha nominato amministratore delegato di Leonardo, il gigante italiano del settore della difesa. Proprio questo incarico, però, potrebbe azzopparne un’eventuale candidatura alla Commissione: qualcuno, al Parlamento, potrebbe per esempio sollevare il rischio di un conflitto di interesse, dato che Leonardo è tra i massimi beneficiari dei fondi Ue per la difesa (stanziati proprio dalla Commissione).
Vittorio Colao
Altro tecnico dato nel novero dei possibili commissari italiani è Vittorio Colao. Come Cingolani, Colao ha fatto parte del governo Draghi, occupandosi della transizione digitale. Manager di lungo corso, a Bruxelles è ricordato non solo per il suo incarico da ministro ma anche per gli anni trascorsi alla guida di Vodafone.
Esperto di telecomunicazioni e di intelligenza artificiale, il suo nome potrebbe essere speso per arrivare a poltrone ambite come quella del Mercato interno o della Concorrenza, o magari a una vicepresidenza con portafoglio alla Competitività, termine che nel nuovo corso Ue dovrebbe diventare centrale, sostituendo il Green deal. Se così fosse, Colao potrebbe far leva sul lavoro proprio di Draghi, che nelle prossime settimane dovrebbe presentare il rapporto sulla competitività europea voluto da von der Leyen. Rapporto che dovrebbe definire le linee guida delle politiche industriali e commerciali della nuova Commissione.
Elisabetta Belloni
Porta in qualche modo a Draghi anche il nome di Elisabetta Belloni: diplomatica di lungo corso, è riuscita a fare carriera nella pubblica amministrazione, per la precisione nel ministero degli Affari esteri, mantenendo ottimi rapporti con tutti i partiti, da destra a sinistra, passando per il Movimento 5 stelle: il forzista Franco Frattini la promosse a capo dell’unità di crisi della Farnesina, il dem Paolo Gentiloni la nominò suo capo di gabinetto (sempre alla Farnesina), l’ex 5 stelle Luigi Di Maio la volle mantenere al suo fianco come direttrice generale del ministero degli Esteri nonostante le pressioni di Giuseppe Conte.
Con Draghi, Belloni è stata promossa a direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), divenendo la prima donna a ricoprire l’incarico di coordinamento dei servizi segreti. Il suo nome spuntò persino nella rosa dei potenziali candidati alla presidenza della Repubblica. Anche Meloni è stata folgorata dalle competenze di Belloni: a lei, la premier ha affidato il delicato coordinamento del G7 a Borgo Egnazia, evento che è stato anche l’occasione per un mini-summit con Francia e Germania proprio sulle nuove cariche Ue.
L’outsider
Fin qui, i nomi che si rincorrono nei corridoi dei palazzi romani e sui media. Ma non è detto che Meloni non sia riuscita a nascondere le sue reali intenzioni. Il futuro commissario italiano potrebbe essere un outsider, come l’eurodeputato Nicola Procaccini, diventato in questi anni un punto di riferimento in Ue per FdI e che attualmente è vicepresidente dell’Ecr. Oppure, potrebbe essere una figura che faccia da ponte tra il Ppe di von der Leyen e i conservatori. “Io un nome ce l’ho”, ha detto qualche giorno fa la premier, aggiungendo però che “non si parte dal candidato, ma dalla maggioranza”. Meloni, in altre parole, vuole prima vedere come si configurerà il nuovo assetto di potere a Bruxelles, e il ruolo che i conservatori avranno in questo assetto. Solo in un secondo momento, la premier scioglierà la sue riserve.