Attualmente, quasi 4 milioni di lavoratori italiani si trovano privi di un contratto. Nel settore pubblico, sono circa 2,3 milioni le persone coinvolte; le trattative sono ferme nonostante il governo abbia stanziato circa 20 miliardi nella legge di Bilancio 2025. Il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha sottolineato che «non è mai successo che un esecutivo stanziasse una tale somma per i rinnovi, eppure ne utilizza solo una parte minima», evidenziando la natura insostenibile della situazione attuale. Mentre il governo ha già raggiunto degli accordi con Cisl e le categorie autonome nei settori della difesa e delle funzioni centrali, sanità, istruzione e enti locali rimangono in stallo, riporta Attuale.
Le ragioni? La determinazione di Cgil e Uil, che giudicano insufficienti gli aumenti proposti (tra i 140 e i 170 euro lordi al mese), rivendicando invece il pieno recupero dell’inflazione. I leader sindacali, Landini e Bombardieri, dopo la sconfitta nei recenti referendum sul Jobs Act, chiedono incrementi fino al 15%, il doppio rispetto all’inflazione ufficialmente riconosciuta. «Accogliere quelle richieste», ha puntualizzato Zangrillo, «significherebbe utilizzare l’intero budget di una legge di bilancio». Per il ministro, la Cgil «sta introducendo tematiche politiche nel negoziato»; mentre la Uil «segue a ruota».
Di conseguenza, gli aumenti già finanziati rimangono fermi, con il rischio concreto che le risorse vengano destinate ad altre spese, come la riduzione dell’Irpef. «Se il ministro Giorgetti mi domandasse domani quali sono le mie intenzioni riguardo a quei fondi, avrei difficoltà a rispondere», ha evidenziato il titolare del dicastero di Palazzo Vidoni. Intanto, le famiglie dei dipendenti pubblici attendono e il tempo stringe: «Se firmiamo a luglio, i contratti entreranno in vigore nel 2026», ha riconosciuto Zangrillo. In questo contesto, la Cisl ha preso posizione: «La questione salariale deve essere affrontata senza demagogia», ha dichiarato la segretaria generale Daniela Fumarola. «È inaccettabile quanto sta accadendo con i contratti nel settore sanitario e negli enti locali: due contratti fermi a causa dell’immobilismo irresponsabile di alcuni sindacati», ha aggiunto.
Per la sanità, una piccola speranza si intravede nel tavolo previsto per il 18 giugno: se il sindacato autonomo degli infermieri, Nursing Up, decidesse di allontanarsi da Cgil, Uil e dai medici per unirsi a Cisl, Nursind e Fials, i rapporti di forza potrebbero cambiare e si potrebbe arrivare a una firma. Per quanto riguarda il settore scolastico, invece, ogni decisione è rimandata a settembre.
La questione metalmeccanici
Nel settore privato si registrano analoghe difficoltà. I metalmeccanici, che contano circa 1,5 milioni di lavoratori, da mesi attendono il rinnovo di un contratto nazionale in stallo. Questo non è un semplice scontro ideologico, ma una divisione marcata tra grandi gruppi, disposti a chiudere, e piccole e medie imprese che si trovano in difficoltà. Queste ultime, sotto pressione a causa dell’aumento dei costi (energia, logistica, dazi) e con una domanda debole (dopo 26 mesi di calo, l’aprile ha visto una crescita della produzione di solo lo 0,3%), non riescono a far fronte agli aumenti richiesti.
Il contratto del 2016, basato su un meccanismo che considerava l’inflazione armonizzata e il welfare aziendale, rappresentava un modello. Tuttavia, quel compromesso ora sembra non reggere più. I sindacati, in particolare Fim, Fiom e Uilm, chiedono aumenti netti sui minimi, mentre Federmeccanica punta su strumenti aggiuntivi, introducendo anche nuovi approcci di welfare e una polizza per la cura a lungo termine. La stagione negoziale è congelata. Le piccole e medie imprese, meno sindacalizzate, non avvertono la pressione degli scioperi, a differenza delle grandi aziende come Fincantieri, Leonardo e Avio, desiderose di concludere rapidamente le trattative. È da notare che il 20 giugno Fim, Fiom e Uilm hanno indetto altre otto ore di sciopero per il rinnovo.
Patto sociale a rischio
Nelle ultime settimane, molti attori economici hanno utilizzato il termine «patto» in relazione alle relazioni industriali. Questo è stato dichiarato dal governatore di Bankitalia, Panetta, dal presidente di Confindustria, Orsini, e dalla segretaria della Cisl, Fumarola. Tuttavia, mettere in pratica tali aspirazioni si rivela più complicato del previsto. Le ambizioni politiche di Landini e dei suoi alleati sono ostacolate da un fronte di opposizione legato all’antico detto «nessun nemico a sinistra». Il risultato? Nel settore pubblico si pratica ideologia piuttosto che sindacalismo, esclusa la Cisl.
Nel privato, invece, si nota un tentativo di conciliare interessi conflittuali all’interno della stessa categoria. Tuttavia, un Paese che non riesce a rinnovare i contratti è un Paese che non rinnova neppure il patto sociale.