È un rebus il conclave che inizia quest’oggi. I 133 cardinali elettori sono chiamati a votare per il successore di Francesco in un clima di grande incertezza. Perché, nonostante il ricovero al Gemelli, nessuno si aspettava la scomparsa di Bergoglio. E perché la freschezza portata dal primo Papa pescato «quasi dalla fine del mondo» non è un’eredità facilmente replicabile. Solo se ci sarà un porporato che riuscirà a entrare in Sistina come vi entrò Ratzinger nel 2005, e cioè con un numero di voti piuttosto elevato, tutto potrà essere in discesa. Ma se così non sarà, il collegio dovrà darsi da fare parecchio per individuare un papabile e non è impresa semplice.
Sono diversi i temi che impegneranno la Chiesa nel futuro e, con essa, chi ne sarà al timone, il 267esimo successore di Pietro. È su di essi che i porporati giocano le loro carte, si mostrano e si nascondono, in vista della Sistina. Sono stati trattati direttamente nell’ultima congregazione generale: la lotta agli abusi, la trasparenza economica, la riorganizzazione della Curia, la sinodalità, l’impegno per la pace e la cura del creato, con il profilo esplicitamente richiesto di «un Papa pastore, maestro di umanità, capace di incarnare il volto di una Chiesa samaritana, vicina ai bisogni e alle ferite dell’umanità».
FRANCESCO HA INDETTO diversi Sinodi chiedendo ai laici una maggiore partecipazione anche nei processi decisionali. Negli ultimi anni ha provato a proporre un modello di governance più partecipativo, ma l’accoglienza non è stata univoca. Esistono delle resistenze. C’è chi pensa che maggiore collegialità, o se vogliamo democraticizzazione, significa desacralizzare il papato, dopo la «grande desacralizzazione» messa in campo da Benedetto con la rinuncia. Non era così per Francesco, che si concepiva ultimo fra gli ultimi e il suo ministero un semplice servizio e non un esercizio di potere.
SUL VATICANO, e l’argomento è laterale fino a un certo punto, incombe un deficit di bilancio pesantissimo, in tutto 83 milioni di euro. Le casse sono vuote anche perché le diocesi americane e tedesche, prosciugate dai risarcimenti dovuti alle vittime dei preti pedofili, non convogliano più verso Roma ingenti offerte come avveniva un tempo. La Chiesa «minoranza», come la immaginava Ratzinger, è probabilmente chiamata a un importante ridimensionamento delle sue strutture, a partire dalla magniloquenza romana, un modello che a conti fatti non regge più.
MA C’È DELL’ALTRO. I recenti scandali finanziari – non ultimo il processo per l’acquisto di un immobile a Londra da parte della segreteria di Stato e l’opaco utilizzo dell’obolo di San Pietro – hanno intiepidito i fedeli, che tendono a non fidarsi più come un tempo delle gerarchie. Il gregge oggi vive altrove, lontano dagli intrighi dei palazzi, un passo avanti quanto ad autenticità rispetto a molti presuli e porporati. Così occorre una figura impeccabile al soglio di Pietro, come era Francesco. E pulita, senza quelle ombre che difficilmente reggerebbero l’urto dell’indignazione popolare.
Bergoglio ha portato più donne nei posti di comando della Chiesa, ma è una certezza il fatto che tutto ciò non basta. Più donne nei gangli dei processi decisionali aiuterebbero la Chiesa a sconfiggere davvero la piaga della pedofilia ecclesiastica sulla quale ieri la rete l’Abuso ha riportato numeri impressionanti: più di mille i preti colpevoli di violenze su minori in Italia. 4500 vittime negli ultimi 25 anni. Eppure 133 soli uomini sono chiamati a eleggere il successore di Francesco. Vi fossero delle donne anche in questa fase lo scossone a una istituzione inspiegabilmente ancora prettamente maschile e verticale sarebbe notevole.